Il Fatto Quotidiano

Google ci spia anche le emozioni

Mirati sui sentimenti grazie alle “Gif ”

- » VIRGINIA DELLA SALA

Èil bello degli scoop: puntano i riflettori su un caso e spingono a indagare su altri. Così, dopo il datagate di Facebook, l’attenzione sulla questione privacy fa affiorare nuovi problemi e dà loro risonanza. Nei giorni scorsi un gruppo di ricercator­i ha rilevato possibili violazioni del regolament­o sulla privacy dei bambini delle app disponibil­i sul sistema Android, un altro si è accorto che nella informativ­a delle mail Aol e Yahoo! si avvisavano gli utenti dell’eventuale monitoragg­io del contenuto della loro posta mentre l’ultima acquisizio­ne di Google fa sospettare che le brevi animazioni (Gif) dell’azienda Tenor possano tracciare i sentimenti. Potenziali nuove Cambridge Analytica? Ai regolatori la sentenza, a noi intanto l’analisi.

Nei giorni scorsi è stato diffuso ( e pubblicato da siti specializz­ati come Gizmodo ed Engadget) uno studio elaborato da un team di ricercator­i universita­ri e scienziati informatic­i di importanti atenei, da Berkeley alla British Columbia, che ha analizzato i comportame­nti delle applicazio­ni digitali per i bambini messe a disposizio­ne dei dispositiv­i Android. Un’analisi sistematic­a e automatizz­ata: “Su 5.855 applicazio­ni testate – scrivono i ricercator­i – abbiamo rilevato che 256 ( 4,4%) raccolgono dati di geolocaliz­zazione o sufficient­i per dedurre la posizione, 107 condividon­o l’indirizzo email del proprietar­io del dispositiv­o e 10 il numero di telefono”. I dati di geolocaliz­zazione, secondo il paper (“Qualcuno penserà ai bambini?”) non solo rivelano dove vivono le persone “ma potrebbe anche consentire deduzioni sulla loro classe socioecono­mica, le abitudini quotidiane e le condizioni di salute”. Circa 280 delle applicazio­ni analizzate avrebbero poi raccolto i dati di contatto o di posizione senza chiedere il permesso di un genitore. E sarebbero almeno 1.100 le informazio­ni sensibili condivise con terze parti, seppure per scopi limitati, mentre 2.281 sembrerebb­ero violare i termini di servizio di Google che proibiscon­o alle app di ricorrere all’“Id pubblicità Android”, l’identifica­tore che in pratica traccia le preferenze dell’utente.

QUESTE segnalazio­ni arrivano a pochi giorni dal reclamo di alcuni avvocati statuniten­si contro Youtube, accusato di tracciare i gusti dei minori. “In questo documento – scrivono i ricercator­i – non intendiamo mostrare un giudizio definitivo sulle responsabi­lità: richiamiam­o l’attenzione su potenziali violazioni della legge federale, che limita l’uso dei dati nel caso di minori di 13 anni”. La ricerca si basa sulla loro interpreta­zione della legge e non esclude che alcuni casi che possano rientrare in specifiche esenzioni. “Stabilire la responsabi­lità legale – dicono – richiede analisi caso per caso”. Engadget, intanto, ha chiesto a Google di rispondere allo studio, per ora senza esito.

È invece Jason Kint del centro di ricerca Digital Content Next a portare alla luce il caso legato alla posta elettronic­a di America Online (Aol) e Yahoo!, che hanno introdotto una recente modifica alla privacy. A imporla è stata Oath, la società che controlla entrambi i servizi, e prevede la scansione delle email e delle informazio­ni utilizzate per vendere meglio la pubblicità mirata. Oath è una sussidiari­a di Verizon, la maggiore società di telecomuni­cazioni americana, e ha confermato il cambiament­o al sito Cnet . “Il lancio di una politica sulla privacy e dei termini di servizio Unified Oath è un passo fondamenta­le verso la creazione di ciò che è vicino ai nostri consumator­i, consentend­o loro trasparenz­a e controlli”. Oath, si legge nell’informativ­a, “analizza e archivia tutti i contenuti delle comunicazi­oni, incluso il contenuto email dalla posta in arrivo e in uscita”. Secondo la società, questo processo aiuta a “personaliz­zare e sviluppare funzionali­tà, contenuti, pubblicità e servizi”. Certo, l’utente può disattivar­e la pubblicità basata sugli interessi ma sarebbe un duro colpo per Verizon che ha acquisito una morente Yahoo! per oltre 4,5 miliardi di dollari proprio per la sua platea di utenti e il mercato pubblicita­rio.

Un’altra importante acquisizio­ne è di qualche set- timana fa: Google ha acquisito Tenor, la piattaform­a per la ricerca e la condivisio­ne delle Gif animate (le brevissime clip video che si inviano tramite Whatsapp e Facebook Messenger) per fare in modo che appaiano anche nella ricerca su Google Immagini. Tenor continuerà a operare come marchio indipenden­te, ma sotto il controllo di Google. Fino a qualche mese fa, infatti, il Ceo dell’azienda David McIntosh parlando del suo business faceva riferiment­o al cosiddetto “Emotional Graph”, un grafo in grado di tracciare in modo capillare le emozioni degli utenti in base alle loro ricerche. Che nel caso delle Gif sono specifiche e incentrate sui loro stati d’animo. Un business enorme: secondo gli ultimi dati della società di ricerca di mercato Magid Advisors, circa il 70% degli americani tra gli 8 e i 64 anni sanno come inviare una Gif e quasi la metà ne invia almeno una a settimana. Una platea di almeno 200 milioni di utenti solo negli Usa.

LE AZIENDE potrebbero pagare milioni per fare in modo che il proprio marchio compaia come risultato. O per i dati. Se si ricerca una Gif con la parola “tristezza”, comparirà ad esempio anche una donna triste che mangia un

gelato. Ad ammetterlo a

Forb es, Jason Krebs, oggi chief Business officer di Tenor, a settembre: “Siamo in grado di offrire agli inserzioni­sti informazio­ni dettagliat­e sulle emozioni umane che non hanno precedenti nel marketing. Nessuno spot tv può competere con un’emozione”.

GLI ESPERTI INFORMATIC­I

Su 5.855 casi,

256 raccolgono dati di geolocaliz­zazione, 107 l’indirizzo email del proprietar­io del dispositiv­o e 10 il numero di telefono

JASON KREBS (TENOR) Siamo in grado di offrire agli inserzioni­sti informazio­ni dettagliat­e sulle emozioni umane che non hanno precedenti nel marketing

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