Di Maio lo avverte: “Pochi giorni e chiudo il forno”
La replica Il capo dei 5Stelle: “Non aspettiamo i suoi comodi, c’è pure il Pd”. E morde Silvio: “Alcuni eletti vogliono lasciarlo”
Dà
l’ultimatum a Matteo Salvini, allineandosi al Colle. Rifila uno sberleffo e anche di più a Silvio Berlusconi, accennando a eletti forzisti pronti ad abbandonarlo. Però traccia anche una linea meno “atlantista” sulla Siria in vista dell’informativa di Paolo Gentiloni di oggi alle Camere: perché deve ricompattare il M5S, dove le sue parole concilianti dopo l’attacco avevano irritato parecchi.
NEL LUNEDÌ che pareva tutto uno stallo, Luigi Di Maio scuote l’albero delle trattative. Perché il segretario del Carroccio che rivendica di voler aspettare le Regionali e oltre lo provoca, per misurarlo. E il candidato premier del M5S raccoglie la sfida. Così dagli schermi di Otto e mezzo detta a Salvini una (mezza) scadenza: “Per aspettare i suoi comodi non dovremmo avere un governo prima del 15 maggio? Ho proposto un accordo su due forni, ma aspetto ancora qualche giorno e poi uno di questi due forni si ch iud e”. Insomma, non si possono aspettare le urne. Ed è un messaggio anche per ostentare lealtà al Quirinale, che vuole tempi rapidi.
Poi per mordere meglio il Carroccio Di Maio torna a chiamare al tavolo il Pd, tutto: “Mi rivolgo al Partito democratico nella sua interezza, non ho mai voluto spaccarlo”. Ed è un nuovo segnale a Matteo Renzi, nonché l’ennesimo amo alle minoranze. Certo, la strada di un accordo con il Pd rimane impervia, innanzitutto per i numeri stretti. E la prima opzione resta la Lega, per mille motivi. Ma dopo aver riunito i suoi nel pomeriggio, Di Maio ha deciso di togliersi i guantoni. E picchia duro, sul Salvini che doveva strappare con il Caimano e invece finora è rimasto dov’era: “Si sta assumendo una responsabilità storica nel continuare con Berlusconi. Il capo di Forza Italia lo ha umiliato al Quirinale, su questo ha ragione Alessandro Di Battista”. Tradotto, l’ex deputato romano che a- veva sparato contro Berlusconi giorni fa non faceva crepitare fuoco amico: “Non credo che Alessandro abbia detto quelle cose per sabotare qualcosa, ma ha tutta la libertà di dire quello che vuole”. Parole molto diplomatiche. Ma di certo ora il Di Battista bellico gli torna utile. E infatti picchia pure lui: “So che parlamentari di FI vogliono uscire”.
SILLABE che riflettono segni concreti, spiegano: “Diversi forzisti ci hanno detto di volersene andare, e noi gli abbiamo risposto di rivolgersi alla Lega”. Nell’attesa Di Maio parla pure di Siria. Lo spunto per l’e nne simo attacco a Salvini (“le dichiarazioni sulla Siria di Salvini sono irresponsabili anche perché fatte da un palco elettorale”). Ma anche e soprattutto per un aggiustamento di rotta. Necessario, visto che dopo l’attacco Di Maio era stato più che filo-Nato: “Restiamo al fianco dei nostri alleati, mi auguro che l’attacco resti un’azione limitata”. E diversi parlamentari ed eletti si erano infuriati, assieme a una bella porzione della base, perché il M5S è sempre stato contro i raid. E le proteste piovute sui social lo hanno ricordato a chiare lettere. Così ieri Di Maio si è corretto: “Il faro rimane l’articolo 11 della Costituzione che ripudia la guerra, bene ha fatto Gentiloni a non partecipare all’attacco”.
Linea che verrà rispecchiata dagli interventi dei capigruppo oggi in Parlamento. Però l’ossessione è il governo, subito. “Voglio capitalizzare il consenso in questa legislatura” scandisce Di Maio. Ovvero, niente voto anticipato. Ma in serata Salvini risponde secco: “Se Di Maio preferisce il forno di Renzi si accomodi”. Ergo, la partita è ancora lunga.
Sulla Siria
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