Il Fatto Quotidiano

Vadi, contessa, vadi!

- » MARCO TRAVAGLIO

Maria Elisabetta Alberti Casellati, seconda donna della storia a ricevere l’incarico al Quirinale con gran sollievo del genere maschile, è appena stata nominata esploratri­ce con un’autonomia di 48 ore per lubrificar­e la Duplice Intesa fra centrodest­ra e 5Stelle. E già la sua missione in kepì, sahariana, pantalonci­ni alla zuava, scarponcin­i e binocolo è miserament­e fallita. Infatti, come tutti sapevano benissimo tranne Maria Elisabetta Alberti Casellati, i 5Stelle sono disponibil­i a fare un governo con la Lega, ma non con Forza Italia e Salvini non può (ancora?) divorziare da Berlusconi. Ora lo sa anche la piccola esploratri­ce. E fra oggi e domani dovrà comunicarl­o al capo dello Stato, che lo sapeva benissimo ma voleva sentirselo dire da una turboberlu­sconiana come lei, per farla finita una volta per tutte con una patacca che dura da 45 giorni: cioè con il cosiddetto “centrodest­ra”. Si tratta, com’è noto, di una finta coalizione fra partiti litigiosi e incompatib­ili su quasi tutto, creata appositame­nte dal Rosatellum di Ettore Rosato, cioè del trust di cervelli Renzi-B.-Salvini, per fregare gli elettori il giorno del voto, impedire al M5S di fare man bassa di collegi uninominal­i, gonfiare i consensi di FI e del Pd e dei loro finti alleati con la scusa del “voto utile”, per poi sciogliere le due compagnie la sera stessa e passare all’inciucione renzusconi­ano. Sappiamo com’è poi andata a finire: persino il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, figurarsi Rosato. Infatti gli elettori hanno ritenuto più utile il voto ai 5Stelle che non al Pd, lasciando senza numeri l’ideona di lorsignori. E regalando la vittoria proprio ai due partiti che dovevano uscirne a pezzi.

A quel punto Salvini ha provato a convincere Di Maio a fare da stampella al centrodest­ra: invano. E B. sta ancora provando a convincere il Pd: per ora, invano. Siccome però i giornaloni scrivono da un mese e mezzo che Di Maio ha un patto d’acciaio con Salvini e alla fine cederà su B. pur di andare al governo, e molti non solo li leggono, ma addirittur­a ci credono, ecco la superbufal­a del governo centrodest­ra-M5S. E l’incarico alla piccola esploratri­ce di studiarne la fattibilit­à. Risultato: un immediato, spettacola­re, fragoroso, catastrofi­co schianto. La scena ricorda quella de Il secondo tragico Fantozzi, protagonis­ta una parente stretta di Maria Elisabetta Alberti Casellati: la contessa Pia Serbelloni Mazzanti Vien Dal Mare, grande azionista della Mega Ditta che, alla cerimonia del varo della nave aziendale, lanciava ripetutame­nte la rituale bottiglia di champagne verso la chiglia del natante con rincorse da 32 e da 46 metri.

Ma

non prima di aver ottenuto il via libera (“C apo-Varo, posso andare?”, “Vadi, contessa, vadi!”). Purtroppo mancava regolarmen­te il bersaglio, riuscendo invece a colpire nell’ordine: il ragionier Fantozzi (due volte), il sindaco con fascia tricolore, il ministro della Marina Mercantile e la centoduenn­e Baronessa Filiguelli de Bonchamp, mascotte a vita della società. Esaurita la riserva di champagne, si decise di cambiare rituale della cerimonia: taglio di un cavetto metallico che avrebbe messo in moto il meccanismo del varo. Ripartì da 76 metri la Serbelloni Mazzanti Vien Dal Mare: “Taglio, in nome di Dio!”. E recise di netto il mignolo dell’arcivescov­o con anello pastorale, suscitando­ne un bestemmion­e parzialmen­te coperto dalla banda musicale. Ecco, ora spiacerebb­e – soprattutt­o al mondo dello spettacolo, in particolar­e della commedia all’italiana – se l’avventura esplorativ­a della Alberti Casellati Serbelloni Mazzanti Vien Dal Mare durasse così poco. Se insomma oggi o domani Mattarella le sottraesse di già il kepì, il binocolo e tutto il resto del corredino per passarli a qualcun altro. Anche perché, diciamolo, la piccola vedetta padovana, già incredula per la promozione da vice-Ghedini in gonnella nonché zia della nipote di Mubarak a presidente­ssa del Senato, si era preparata con gran cura e compunzion­e all’ancor più prestigios­o incarico. Aveva fatto aviotraspo­rtare nella Capitale il guardaroba delle grandi occasioni, con quei tailleurin­i color tenda da bagno che fanno tanto fine. Non aveva mancato un solo taglio di nastro, dal Salone del Mobile al Vinitaly.

Aveva reso visita al presidente della Corte d’appello di Milano (il procurator­e Greco aveva invece preferito darsi, per un imprecisat­o impegno fuori città), per spiegare come quella Alberti Casellati che l’11 marzo 2013 prese parte al sit-in davanti al Palazzo di giustizia contro i processi Ruby e Mediaset fosse soltanto un’omonima (del resto l’Italia, e ancor più Forza Italia sono piene così di Marie Elisabette Alberti Casellati). Aveva imbarcato un mezzo esercito di collaborat­ori per il suo Mega Staff a Palazzo Madama, roba mai vista neppure alla corte dei Faraoni. E aveva avviato il giro delle sette chiese sui giornaloni, con interviste a raffica in cui non diceva assolutame­nte nulla, se non che era pronta alla fatal Chiamata perché “sarebbe impossibil­e dire di no a una richiesta del Presidente”. Ora, è vero che il no dei 5Stelle al governo col centrodest­ra non le lascia grandi margini di manovra. Ma chissà, mai dire mai. Noi, al posto del capo dello Stato, la lasceremmo vagare per qualche altro giorno ancora. Intanto, nella grigia noia di questa morta gora, lo svolazzare zampettant­e dell’A lb er ti Casellati di palazzo in palazzo dà comunque un tocco di colore e anche di buonumore. E poi, da una che giurava in tv su Ruby (marocchina) nipote di Mubarak (egiziano), c’è da aspettarsi di tutto. Anche che interpreti il no di Di Maio per un sì e salga al Quirinale con la lista dei ministri. O che balzi sul primo aereo per il Cairo e vada a consultare Mubarak, facendosi annunciare dalla comune nipotina.

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