I pm: “Ostacoli contro di noi Ci accusavano di eversione”
I magistrati bersagliati La rivincita sui tentativi di delegittimazione, gli atti spariti e le minacce. Di Matteo sottolinea il ruolo di B. e Ghedini annuncia querela
L’incursione a casa del pm Roberto Tartaglia, la sparizione di una pen drive con gli atti di una nuova indagine segreta sulla trattativa, gli anonimi recapitati al palazzo di Giustizia con le minacce di morte al pm Nino Di Matteo, gli intralci alla sua carriera con le ripetute bocciature del Csm alle sue richieste di trasferimento in Dna. E poi gli attacchi mediatici, violenti, ripetuti sulla tenuta giuridica del capo d’imputazione, il famigerato articolo 338 che punisce la violenza o minaccia a corpo politico dello Stato: una contestazione inconsistente secondo il giurista di area Pd Giovanni Fiandaca, autore di un pampleth che il Foglio, parafrasando Fantozzi, pubblicò con il titolo beffardo: “Il processo sulla trattativa è una boiata pazzesca’’. E infine le manovre del Quirinale di Giorgio Napolitano, sollecitato dalle lamentele di Mancino, per “scippare” l’inchiesta al pool di Palermo, culminate nel conflitto di attribuzione sollevato davanti alla Consulta che ha segnato lo scontro più alto tra le istituzioni nella storia repubblicana. Un’escalation che ha indotto Di Matteo a conclusione della requisitoria, a denunciare “una scia infinita di veleni e polemiche’’. Ieri l’ha ripetuto: “Il processo ha subito in questi anni dei gravi ostacoli. Ci sono stati dei momenti – ha detto Di Matteo – in cui siamo stati accusati di essere politicizzati e, addirittura, di seguire finalità eversive. Nessuno ci ha difeso, la Corte d’assise evidentemente pensa che non sia così”.
DIECI ANNI di indagini e processo vissuti pericolosamente in un clima oscillante tra la polemica continua e il silenzio indifferente dei media nazionali, in quella che il sostituto Vittorio Teresi definì una “guerra psicologica’’ che mai però ha fiaccato l’impegno dei pm, a partire da Antonio Ingroia, oggi avvocato e considerato “il padre’’ del processo, che ieri è stato citato da Di Matteo davanti alle telecamere subito dopo la lettura della sentenza. “Sono orgoglioso di aver avviato per primo questa indagine – ha detto ieri il leader di Azione Civile –, avevamo un debito enorme di verità e di giustizia nei confronti dei tanti che per colpa di quella trattativa hanno perso la vita e quella dei loro cari. Mi sento di ringraziare i pm del dibattimento, a cominciare da Di Matteo, che nonostante le enormi difficoltà, la continua opera di delegittimazione e l’indecente ostruzionismo di buona parte della politica e delle istituzioni fino ai più alti livelli, hanno saputo raccogliere i frutti dell’in d ag in e condotta insieme’’.
Anni di tensione sciolti in un abbraccio dei quattro pm alla fine degli otto minuti di lettura del verdetto, i più lunghi dell’intero processo: “Questo processo e questa sentenza sono dedicati a Paolo Borsellino, a Giovanni Falcone e a tutte le vittime innocenti della mafia”, ha detto Teresi. “Va analizzato attentamente il dispositivo che in linea di massima ha confermato la tesi principale d e l l’accusa sull’i g n ob i l e scambio, chiamato semplicemente ‘trattativa’, ma che nascondeva il ricatto fatto dalla mafia allo Stato e a cui si sono piegati alcuni elementi delle istituzioni – ha aggiunto –. È un processo che bisognava fare a tutti i costi”. Come dice, con altre parole, il più giovane del pool, Roberto Tartaglia, prima di lasciare l’aula bunker: “Il dispositivo parla da solo, è molto chiaro e dimostra una cosa importantissima, cioè che questo processo doveva essere asso- lutamente fatto e che abbiamo lavorato bene, con serietà al di là di ogni polemica o critica”.
“NELLA NOSTRA impostazione accusatoria – ha detto Di Matteo – l’ipotesi è che Dell’Utri sia stato la cinghia di trasmissione tra Cosa nostra e l’allora da poco insediato governo Berlusconi. La Corte ha ritenuto provata questa cosa. La Corte intanto ritiene provato il fatto che anche dopo il 1991 non si ferma il rapporto a Berlusconi imprenditore ma anche al Berlusconi politico”. E l’ultima polemica è arrivata, puntuale, anche ieri con l’annuncio di una querela dell’avvocato Niccolò Ghedini per le parole di Di Matteo. Concetti che il pm, applicato dalla Dna insieme al collega Francesco Del Bene, ribadisce in serata: “Ora abbiamo la certezza che la trattativa ci fu, la Corte ha avuto la consapevolezza che, mentre in Italia esplodevano le bombe nel ’92 e nel ’93, qualche esponente dello Stato trattava con Cosa nostra e trasmetteva la minaccia di Cosa nostra ai governi in carica. E questo è un accertamento importantissimo, che credo renda un grosso contributo di chiarezza del contesto in cui sono avvenute le stragi. Contesto criminale e purtroppo istituzionale e politico. ”.
Il ricordo
Teresi: “Processo e sentenza dedicati a Falcone, Borsellino e a tutte le vittime”