Il Fatto Quotidiano

LA TRATTATIVA C’È STATA E B. È IL SUO PROFETA

STATO-MAFIA: CONDANNATI A 12 ANNI MORI, SUBRANNI E DELL’UTRI. IL PM DI MATTEO: “SANCITO IL LEGAME TRA LE RICHIESTE DI COSA NOSTRA E IL 1° GOVERNO BERLUSCONI”

- » GIUSEPPE LO BIANCO E SANDRA RIZZA

Non era giuridicam­ente una “bo i at a pa zzes ca” e nemmeno un “pro cesso-farsa”: il governo Berlusconi del ’94 è frutto di una trattativa Stato- mafia condotta negli anni precedenti dagli ufficiali dei carabinier­i Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, i primi due condannati a 12 anni, il terzo a 8. E di minacce veicolate da Marcello Dell’Utri che dopo le stragi siciliane si è trasformat­o in un messaggero politico di Cosa nostra: anche per lui una condanna a 12 anni. Dopo cinque anni di polemiche, attacchi, e sfottò a buon mercato nei confronti del processo più bersagliat­o dai media, la Corte d’assise di Palermo ribadisce un principio elementare, ma spesso i- gnorato: con la mafia non si tratta, come hanno insegnato con il loro sacrificio Falcone e Borsellino.

ALLE 16,04nell’aula bunker di Pagliarell­i il presidente Alfredo Montalto legge in quasi otto minuti il verdetto che dà corpo alle ombre che da Portella delle Ginestre si allungano sulle relazioni pericolose tra pezzi dello Stato e Cosa nostra, aprendo probabilme­nte una nuova stagione investigat­iva: la Corte ha infatti ritenuto che la trattativa condotta dagli ufficiali dei carabinier­i è arrivata sino al ’93 (per il periodo successivo Subranni, Mori e De Donno sono stati assolti “per non aver commesso il fatto”), periodo che comprende la cattura di Riina con tutti i misteri collegati, compreso il ruolo di Bernardo Provenzano così come lo ha raccontato Massimo Ciancimino, fino alla stagione delle bombe che fece temere un golpe allo stesso premier Carlo Azeglio Ciampi. E anche per Dell’Utri, assolto solo per la minaccia veicolata nei confronti del governo Andreotti e dei governi tecnici Ciampi e Amato, precedenti al governo Berlusconi, la sentenza lascia intraveder­e nuovi scenari: il pronunciam­ento, infatti, appare in contrasto con la condanna definitiva (a 7 anni) per concorso in associazio­ne mafiosa che delimitava la sua condotta illecita fino al ’92, riattivand­o tutti gli interrogat­ivi sul suo ruolo di leader di Forza Italia negli anni successivi e sui legami tra l’uomo di Arcore e il generale Mori, no- minato nel 2001 capo del Sisde proprio da Berlusconi.

La pena più alta, 28 anni, è stata inflitta al boss Leoluca Bagarella; 12 anni per il medico Antonino Cinà, il postino del “papello”, e 8 anni (3 più della richiesta) anche a Ciancimino jr, ritenuto colpevole di calunnia nei confronti del l’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro ma assolto dall’accusa di associazio­ne mafiosa. Tutti sono stati interdetti in perpetuo dai pubblici uffici e condannati a risarcire le parti civili, a partire dalla Presidenza del Consiglio per 10 milioni di euro. Assolto, invece, “perché il fatto non suss is t e” l’ex ministro Nicola Mancino, imputato per falsa testimonia­nza, e che ieri ha dichiarato: “Non ho atteso invano, ma che sofferenza!”

CONCLUSA LA LETTURA del dispositiv­o, da dietro le transenne è partito un timido applauso: davanti all’obiettivo della fotografa Letizia Battaglia, hanno esultato gli attivisti di Scorta Civica accorsi con un cartello appeso al vetro blindato: “Siamo tutti Nino Di Matteo”.“È stato un applauso liberatori­o”, dirà poco dopo il più anziano dei pm Vittorio Teresi, che durante la lettura ha scambiato una veloce pacca sulle spalle con i colleghi Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, i soli a rappresent­are la Procura nell’assenza del capo Francesco Lo Voi.

LA SENTENZA, dunque, ha ritenuto provato che, all’indomani delle stragi di Capaci e via D’Amelio, lo Stato scese a patti con la mafia, e ha illuminato ancora una volta il ruolo omertoso di Berlusconi di fronte alle minacce di Cosa nostra: “Non risulta che il governo Berlusconi abbia mai denunciato le minacce subite attraverso Dell’Utri – commenta Di Matteo – ep p ur e Dell’Utri gli aveva veicolato tutto”.

Il più deluso è il difensore di Mori, che dopo due assoluzion­i (per la mancata perquisizi­one del covo di Riina e per la mancata cattura di Provenzano a Mezzojuso nel 1995) subisce oggi a Palermo la prima condanna. In serata, l’avvocato Basilio Milio, che nella sua arringa aveva definito il giudizio sulla trattativa proprio un “clone” del processo sulla mancata cattura su Mezzojuso, ha dichiarato a denti stretti: “È una sentenza dura che lascia sbigottiti, e che non sta né in cielo né in terra, non sono stati ammessi 200 documenti alla difesa e 20 testimoni. Questo è stato un pre-giudizio, speriamo nell’appello’’.

In aula

L’applauso degli attivisti di “Scorta civica” con un cartello per Di Matteo

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LaPresse In nome del popolo italiano Il presidente della Corte Alfredo Montalto

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