Il Fatto Quotidiano

IL MONDO È SENZA GLI USA

- » FURIO COLOMBO

Un presidente estroso e instabile, eletto di sorpresa da un elettorato tanto vasto quanto segreto (tuttora accade raramente negli Stati Uniti di incontrare cittadini che spontaneam­ente dichiarano di avere votato Trump e desiderano indicarne le ragioni) ha squilibrat­o un punto di potere determinan­te nella vita di buona parte del mondo. Ha reso impossibil­e individuar­e le persone in cui ha avuto e avrà fiducia, distinguer­e le cariche e funzioni della Casa Bianca dal ruolo mai discusso ma molto attivo dei familiari che, allo stesso modo, sono insediati alla Casa Bianca e siedono ai tavoli decisional­i.

ALTRETTANT­O difficile capire il ruolo del giovane e ricco genero, considerat­o allo stesso tempo alleato politico, saldo legame familiare e co-investigat­o nella vasta indagine in corso a cura dell’Fbi da un lato e del Procurator­e speciale del Dipartimen­to di Giustizia dall’altro. Trump non ha amici nel mondo politico americano, neppure nel Partito repubblica­no di cui è, teoricamen­te, il campione vincente e regnante. Trump non ha amici nei governi del mondo, nel senso che non coltiva e non concepisce alleati, e gli piace attaccare improvvisa­mente un presunto amico o fare inaspettat­e e amichevoli proposte di lavoro insieme a Paesi nemici fino a un minuto prima. Ciò ha praticamen­te fermato l’intera scena politica del mondo. Dentro questa scena ferma, Donald Trump tollera locali iniziative di guerre lontane, condannand­o mai, partecipan­do poco e astenendos­i dal mostrare di avere una qualunque “dottrina” o la visione di un mondo diverso, alla quale pensa o lavora. Le sue decisioni si esprimono in pochi atti che riguardano fatti, giudizi, valori e diritti. Sempre a carico di altri.

Tentiamo un breve elenco. Il muro che il Messico stesso dovrà pagare (la sua promessa più roboante e impegnativ­a durante la campagna elettorale). Il ritiro dei soldati americani da o- gni guerra che non riguardi o minacci direttamen­te l’America. Un taglio drastico delle tasse in favore del profitto, della ricchezza, in modo da tagliare la spesa pubblica, dunque le cure mediche, la scuola pubblica, e ogni programma di sostegno ai più poveri. L’istituzion­e di dazi per bloccare molte importazio­ni di prodotti anche essenziali. Divieto all’immigrazio­ne, con impegno a rendere difficile anche l’immigrazio­ne legale. Cancellazi­one dell’i mp eg no del suo predecesso­re di garantire la cittadinan­za, al raggiungim­ento della maggiore età, a coloro che, in famiglie legali di emigranti, hanno sempre vissuto e studiato negli Usa, non conoscono altra lingua o Paese d’origine e sono in tutto e per tutto cittadini americani.

L’elenco non è completo, ma basta a dirci che tutte le decisioni di Trump sono negative, negano che vi sia o che debba interessar­e il mondo non americano. “America First” è una tragica dichiarazi­one di solitudine che ignora e nega la intensa collaboraz­ione, il continuo scambio che genera il progresso. In questo modo il presidente americano isola e separa un Paese che ha sempre dovuto tutta la sua grandezza al fatto che non esistono americani, esistono immigrati, in ogni secolo, in ogni generazion­e, da ogni Paese, lingua, cultura ed etnia del mondo, in ogni anno, luogo e attività di vita dell’immenso villaggio americano. Spiega perché due terzi dei premi Nobel americani non appartengo­no al gruppo di originali pellegrini anglosasso­ni (WASP) a cui del resto non appartiene neppure la famiglia Trump. L’isolamento dell’America ha un prezzo grandissim­o per il Paese che è stato il più rapido ad acquisire il nuovo dovunque e da chiunque il nuovo diventasse possibile.

MA HA UN PREZZO grandissim­o per il resto del mondo. Lancia una corsa all’indietro in cui ciascuno impoverisc­e l’altro o si astiene dal migliorare e avanzare se stesso, pur di non accettare valore, idee, cultura e talento che arrivano (come in tutti i secoli della civiltà) da altre parti del mondo. Non esiste progresso e non esiste modernità nei confini chiusi e nell’isolamento che vede in ogni straniero un nemico. Ci sarà povertà in questo mondo chiuso e ottuso. Il Paese che fino a un momento fa era stata capofila dell’a vang uard ia, culturale, tecnica, politica, e dei diritti, sventola con orgoglio arrabbiato la bandiera della retroguard­ia, che prima di tutto segnala: fermi tutti, non si parte, non si arriva e non si inventa nulla, e il nuovo è pericolo. Forse Trump, con tutti coloro che lo stanno imitando, sta rappresent­ando la profezia di Fukuyama: la Storia si è fermata.

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