Il Fatto Quotidiano

“Tutti i miei anni con Boncompagn­i in accappatoi­o”

- » ALESSANDRO FERRUCCI Twitter: @A_Ferrucci © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

“Un giorno ricevo una sua telefonata, non ci conoscevam­o. Mi chiede un’intervista, e francament­e neanche trovavo il ‘perché’ di tale richiesta, ma per curiosità accetto: ‘Allora ci vediamo all’alba a piazza di Spagna’. Va bene. Arrivo, e a metà scalinata trovo posizionat­e due poltrone, l’abat jour e un tavolino. Mi siedo, iniziamo a parlare, dopo un minuto strappa la mia prima risata, la prima di una serie infinita; in qualche modo da lì, da quella magia, da quelle prime luci del mattino, da quelle poltrone, non mi sono mai più del tutto alza ta”. Lui era Gianni Boncompagn­i, lei Raffaella Carrà. Amici, fidanzati per undici anni, di nuovo amici, solidali, vicini di casa, colleghi, confidenti, comunque e sempre complici, per cinquanta e passa anni “e il bello è che non abbiamo mai litigato, neanche una volta, l’ironia e il gioco ci hanno uniti da subito”. Non avete discusso neanche quando vi siete lasciati? Ma come potevo litigare con una persona che a migliaia di chilometri di distanza e un o-

ceano stracchino? di mezzo mi parlava di “Stracchino” gio in codice? è un messag

No, un formaggio.

Qualcosa non torna.

Premessa: Gianni era un uomo generosiss­imo, e nonostante la nostra relazione, non mi ha mai impedito di viaggiare per lavoro, con le conseguent­i lunghe trasferte, e senza mai vederci. La lontananza è pericolosa.

È così, e come dicevo, allora restavo per mesi in tournée all ’ estero, dalla Florida in giù, magari Messico, Cile, Venezuela e ancora, e lui sempre a sostenermi, a dirmi “vai, è bellissimo”... Poi, però...

In quel periodo ero a Buenos Aires per dei concerti, alla fine dello spettacolo ci sentiamo, e catturata da un lampo di nostalgia tento l’impossibil­e: “Perché non prendi l’aereo e mi vieni a trovare?”.... Impossibil­e?

Sì, e per due motivi: la sua proverbial­e e atavica pigrizia, più una certa paura di volare. Comunque, non mi ascolta neanche e come se fossi accanto a lui mi chiede: “Puoi chiamare Licia – la no- stra governante – e dirle di comprarmi lo stracchino fresco? Quello che prende non mi piace, non è abbastanza morbido”. Magari era una provocazio­ne.

Non l’ho mai capito. Però mi sono sentita avvolta da un senso di abbandono, perché il successo va bene, è bello, stimolante, intenso, gratifi- cante, ma quando ti trovi sola di notte, nel letto, hai bisogno di un amore grande da poter abbracciar­e. Quindi era realmente pigro.

Solo pigro? Pigrissimo! E con lui un po’ lo sono diventata anche io, ed è un bene: ho scoperto il valore della riflession­e, ho capito quanto è importante concedere al cervello differenti ritmi rispetto al corpo; le nostre migliori domeniche sono state quelle in accappatoi­o per tutto il giorno, quando uno si muove al rallentato­re, mangia senza orario... Un bicchiere di vino.

Quello no, però ci attaccavam­o alle “brustoline”, i semi di zucca da spilluzzic­are a ripetizion­e davanti alla television­e.

Pigrissimo, per lui il massimo era aprire il freezer e pescare lì dentro: è stato uno dei più grandi consumator­i di prodotti surgelati

Solo brustoline? Il massimo era aprire il freezer e pescare lì dentro, questo perché Gianni è stato uno dei più grandi fautori e consumator­i di prodotti Findus; non mangiava altro, possedeva delle scorte infinite di surgelati e guai a tentarlo con del pesce fresco, “perché? Che senso ha? Vanno benissimo questi” e apriva

una scatola. Lei ha cresciuto le sue figlie.

In qualche modo siamo diventati grandi tutti insieme, una famiglia allargata, anche se non mi sono mai permessa di prendere il posto della loro mamma; il mix era un po’particolar­e, dove le certezze si sono radicate da subito e dove Gianni è stato bravissimo a dare le risposte necessarie a tre bambine lasciate solo alle sue cure. Lui scriveva canzoni, e lei le cantava.

Come due ragazzini all’esordio, sistematic­amente compravamo Billb oard ( settimanal­e statuniten­se dedicato alla musica, con alcune sezioni specifiche per le classifich­e), piazzavamo un cartoncino per coprire la hit parade, e quel cartoncino lo spostavamo con calma, e ogni posizione scalata era un urlo di felicità mista a sorpresa. Il suo brano preferito?

California, ma rispetto agli altri non ha ottenuto lo stesso successo. E poi?

Ricordo quando ascoltai per la prima volta Tanti auguri; alla fine avevo qualche dubbio sul passaggio “quanto è bello far l’amore da Trieste in giù”, tanto da azzardare: “Scusa Gianni, e sopra Trieste non va bene?”. E lui, con il suo classico sorriso: “Senti, la rima non mi è venuta differente, è questa, quindi è ok”. Ah, ho amato e da subito Fie

sta, un pezzo nato in pochi attimi di genialità.

Nel 1976 un grande successo è stato “Forte forte forte”. In quell’occasione ho sbagliato la valutazion­e: Gianni mi porta A far l’amore comin

cia tu, sempre scritta da lui e da Franco Bracardi; la sento e mi lancio nei dubbi: “Ancora

una sambina? Ma sei sicuro?”. Lui insiste. E io: “Pubblichia­mola come lato B del 45 giri”. Risultato? Ha venduto milioni di copie, ha raggiunto il secondo posto in Inghilterr­a. Cosa le manca di lui?

La sua visione della vita, la sua leggerezza, la sua ironia, il saper associare il divertimen­to alla serietà. Qualche volta lui l’ha definita iper precisa...

Io? Non sono mai stata una secchiona, solo una che cerca di portare sul lavoro una certa profession­alità, quindi se prendo un impegno non mollo, ma per il resto non sono ossessiona­ta dal corpo, dalle diete, non mi interessa il botox, e in palestra vado quando è necessario. Insomma, se devo lavorare è un conto, altrimenti sto bene senza. Boncompagn­i scriveva per il Fatto.

Una sera mentre andavamo a Milano con Renzo (Arbore) per la trasmissio­ne di Fabio Fazio, gli parlo del giornale: “Non lo conosci?” Veramente no. “Guarda che sono forti”. Senza aggiungere altro prendeil Fatto, resta in silenzio, lo legge, e una volta arrivati mi dà ragione.

Quella volta da Fazio, Boncompagn­i rilasciò una dichiarazi­one “esplosiva”. Raccontò questo dialogo dedicato al giornale, salvo poi aggiungere: “Raffaella è una nota estremista comunista”. La sua rubrica si intitolava “Compliment­i”.

Si divertiva, però come al solito, ogni tanto veniva asse-

diato pitava dalla scattava sua pigrizia, la lamentela: se ca“Oddio, oggi non so cosa scrivere, è talmente complicato pensare sempre qualcosa di carino”. Era romantico?

Molto, però questo lato lo celava, si vergognava in maniera folle. Sua figlia Barbara ha dichiarato: “Donne? Con lui abbiamo visto di tutto”. Con me è stato di una fedeltà assoluta, e io con lui: per undici anni abbiamo vestito i panni dei carabinier­i. Lei, Boncompagn­i e le tre figlie abitate tutti nello stesso complesso. Le nostre case erano aperte, venivano gli amici, serate infinite, gags, scherzi, siparietti, idee in circolazio­ne. Soprattutt­o scherzi.

Quando iniziavano con il telefono, era la fine, a volte mi piegavo in due per il dolore ai reni, o non trattenevo le lacrime: il classico era chiamare alle quattro di notte l’hotel Hilton (un cinque stelle lus-

so) e far trillare direttamen­te l’apparecchi­o delle camere, poi aspettare la risposta dei clienti, e con una calma spiazzante domandare: “Scusi signore, cosa preferisce da colazione? Croissant con la crema o semplice?”. Alla ricerca di un “vaffa”...

Arrivava matematico, spesso in inglese. Detestava le ferie.

Per lui ad agosto si doveva lavorare, a lungo sono stata d’accordo, fino ai miei 60 anni l’estate l’ho passata in tournée per concerti, poi ho smesso. Il vostro amore...

Come dicevo, è cresciuto piano piano, tra una risata e una confidenza; non abbiamo mai forzato, mai alcuno strappo o momento di imbarazzo; credo fosse intimidito da me. I suoi genitori cosa ne pensavano?

Tragedia di mia madre: Gianni era separato, aveva tre figlie. In quale campo ha dato il meglio?

Lui era universale, non riconducib­ile a un’unica situazione. Quando l’ho conosciuto era principalm­ente un fotografo, bravissimo, i suoi bianco e nero sono dei capolavori; poi la musica, ogni notte con le cuffie in testa e il volume sparato a livelli esagerati, tanto che sia lui che Arbore sono diventati un po’ sordi. E la regia...

Quando l’ha scoperta, si è innamorato della television­e, e si è visto: alcuni programmi ancora vivono delle sue trovate. Battutista feroce.

Aretino nel midollo, lui per una battuta poteva serenament­e passare sul “co rp o della madre”. Godeva della trovata. Del lampo. Della sintesi. Cosa le ha insegnato?

Quanto tempo abbiamo? Tanto, tantissimo, ma a volte, tra due che condividon­o così tanto e per tanto, è complicato marcare il confine. Però lui era la fantasia, l’estro, la genialità. E lei?

Gli ho trasmesso alcune regole, come il non alzarsi sempre alle tre del pomeriggio e una maggiore tolleranza verso chi non gli era proprio simpatico. L’oggi.

Lunedì scorso, in occasione d e l l’anno dalla sua morte, con le figlie abbiamo piantato un ciliegio giapponese. E...

Amo affacciarm­i la mattina dal balcone, guardarlo, fermarmi qualche minuto, sognare, ritrovare alcuni profumi della nostra vita insieme. A partire da quelle benedette poltrone in piazza di Spagna.

Gli scherzi al telefono Alle quattro del mattino chiamava le camere di un hotel di lusso e domandava cosa volevano per colazione

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Un sodalizio non solo artistico per Boncompagn­i e Carrà
Ansa e Umberto Pizzi In studio e fuori Un sodalizio non solo artistico per Boncompagn­i e Carrà
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Si sono conosciuti negli anni Sessanta grazie a un’intervista
Ansa e Umberto Pizzi Piazza di Spagna Si sono conosciuti negli anni Sessanta grazie a un’intervista
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