Il Fatto Quotidiano

Fare il sindaco è un incubo: serve il ministero delle Città

Antonio Decaro (Pd) Il presidente Anci e sindaco di Bari: finora da Roma abbiamo avuto solo tagli e indifferen­za

- » ANTONIO DECARO*

“Voi lo fareste il sindaco sapendo che ogni firma può costarvi la fama di delinquent­e?”, si domandava qualcuno qualche tempo fa. Io da 4 anni sono il sindaco di Bari e nonostante tutte le difficoltà continuere­i a rispondere di sì. Ma vi assicuro che non è per nulla facile. Per preservare questa mia certezza bisogna, al giorno d’oggi, dotarsi di una buona armatura e di un’incrollabi­le dose di coraggio.

FARE IL SINDACOnon significa inaugurare piazze e fare discorsi in consiglio comunale. Il sindaco passa la maggior parte del suo tempo a prendere decisioni scomode e impopolari. Un sindaco affronta ogni giorno sfide enormi senza avere quasi mai gli strumenti giusti per affrontarl­e; deve lottare contro una burocrazia che non lo aiuta, anzi, spesso gli mette i bastoni fra le ruote. Insomma un sindaco, se vuole fare bene il suo mestiere, sa che dovrà mettersi nei guai.

Succede quando ti arrivano cinque notizie di allerta, nel giro di poche ore, e tocca a te, proprio a te, solo a te, decidere se devi dare la precedenza a quella che ti segnala un incendio o a quella che ti avvisa di un temporale, se devi chiudere le scuole o evacuare un condominio. E mentre sai di stare decidendo della sicurezza e della vita delle persone, pensi che potrebbe arrivarti, da un momento all’altro, un avviso di garanzia per disastro o per omicidio colposo. È succes- so a Genova, a Livorno, a Senigallia, ora a Parma.

Succede ogni giorno anche in tanti piccoli comuni in cui i sindaci sono un po’capi tribù, un po’ parroci, un po’ amministra­tori di condomino. Spesso ci sentiamo una via di mezzo tra SuperMario e il signor Wolf, quello che, in Pulp fiction, risolveva i problemi. Così si sarà sentita Chiara Appendino, qualche giorno fa, quando non ha potuto dare una risposta a due donne che chiedevano all’anagrafe di riconoscer­e come di entrambe un figlio che è di entrambe. O Massimo Caravaggio, sindaco di Gombito quando, un giorno, ha scelto di potare gli alberi che rendevano pericolosa la viabilità in una zona del suo paesino. Ebbene lo Stato, invece di consegnarg­li una medaglia al valore civico, l’ha multato perché “non formato per quel tipo di mansione”.

Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere. Perché in momenti come questi, da Gombito a Parma, da Bari a Torino, noi sindaci ci domandiamo: ha senso fare il sindaco in questo modo? E il dramma è che cominciano a domandarse­lo anche tanti potenziali sindaci. I quali, di fronte alle troppe responsabi­lità, all’impotenza di fronte ai problemi dei cittadini, ai rischi, anche giudiziari, legati a ogni decisione che dovrai prendere, cominciano a rinunciare anche solo all’idea di candidarsi.

È il caso (immagino non sarà l’ultimo) di un paese lombardo, Sorico, in cui a pochi giorni dalle elezioni non si è ancora trovato un cittadino disposto a candidarsi a sindaco. È un’eccezione, ma potrebbe presto diventare la regola: siamo stanchi di fare gli eroi in nome e per conto di uno Stato che non ci aiuta né ci sostiene. Se facciamo due conti scopriamo che le spese di funzioname­nto degli oltre 8mila Comuni pesano solo per l’8,7% sui conti pubblici e che la metà dei tagli operati in questi anni, 12 miliardi su 25, sono stati a carico dei bilanci degli enti locali, cioè risparmian­do sulla carne viva dei cittadini. EPPURE, nonostante questo, noi sindaci siamo rimasti a bordo. Siamo rimasti accanto alle comunità che ci hanno eletto, si fidano di noi e continuano a ritenerci i più credibili tra i rappresent­anti delle istituzion­i. Per questo chiediamo a quelle istituzion­i che noi rappresent­iamo sul territorio, al nuovo governo, di sostenerci con i fatti, di darci un interlocut­ore diretto e serio che conosca i nostri problemi.

Chiediamo l’istituzion­e di un ministero delle Città. Non un carrozzone per creare nuove poltrone, ma un riferiment­o nel governo autorevole, serio e competente, che inauguri un approccio diverso alle questioni che i sindaci sollevano e che dia una visione strategica alle politiche urbane. Una visione che valorizzi i tratti distintivi dei Comuni che sono stati nei secoli il luogo centrale dell’identità, dello sviluppo e della vita del nostro Paese.

Presidente dell’Associazio­ne dei Comuni italiani

Il paradosso

Ogni primo cittadino che voglia fare bene il suo lavoro sa che si metterà nei guai

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Ansa/LaPresse Sindaci Antonio Decaro, Chiara Appendino e Federico Pizzarotti
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