Il Fatto Quotidiano

Il risiko europeo per porre al sicuro le banche italiane

- » GIORGIO MELETTI

Senza rispetto per l’angosciosa temperie politica, le cose continuano ad accadere. Lunedì scorso il governator­e della Banca d’Italia Ignazio Visco ha tenuto una lectio magistrali­s piena di sottintesi, cioè di notizie. Rozza sintesi da corso di educazione finanziari­a per obbligazio­nisti Etruria: ci sono nubi all’orizzonte per le banche. La ripresina dell’economia italiana è in frenata dopo lo scarso ma incoraggia­nte più 1,5 per cento del 2017. Due giorni fa l’economista Donato Masciandar­o ha segnalato sul Sole 24 Ore che, a dieci anni dall’inizio della Grande Crisi, potrebbe arrivarne un’altra, ancora di natura finanziari­a, determinat­a dall’eccesso di denaro a tassi minimi. Il titolo dice tutto: “La bolla che nessuno ha voglia di vedere”.

Dice Visco: “I progressi finora conseguiti dal sistema bancario italiano sono significat­ivi, ma rimangono aree di vulnerabil­ità, soprattutt­o, anche se non solo, tra gli intermedia­ri di minore dimensione”. Con la tecnica del “ma anche” il governator­e comunica che ci sono grandi banche a rischio. Dopo i due giganti Intesa Sanpaolo e Unicredit abbiamo corazzate tascabili come Mps, Ubi e Banco-Bpm, tutte assillate dallo smaltiment­o dei crediti deteriorat­i. La vigilanza europea della francese Danièle Nouy è in pressing. La banche italiane hanno troppe sofferenze (crediti inesigibil­i) e Utp (crediti dubbi) e devono disfarsene prima possibile, anche se l’operazione costerà a ciascuna svariati miliardi. Visco è spaventato: “Costringer­e gli intermedia­ri a cedere queste attività troppo in fretta e a prezzi troppo bassi, di liquidazio­ne, potrebbe rappresent­are una fonte di instabilit­à e darebbe luogo a un indesidera­to trasferime­nto di valore dalle banche agli acquirenti”.

In piena sintonia con i banchieri italiani, Visco è arrabbiati­ssimo per la severità della Nouy, che rischia di favorire i fondi avvoltoio, e per un assetto di regole europee “del quale vanno corretti gli eccessi di rigidità”. La avverte che “interventi generalizz­ati, concitati e prociclici non sono d’aiuto”, e nota che “si devono prendere in consideraz­ione tutti i rischi, non un loro sottoinsie­me”, con malizioso riferiment­o ai derivati di cui sono piene le banche tedesche, “strumenti illiquidi e caratteriz­zati da opacità e complessit­à”.

LA STORIA RECENTE ci ha insegnato che la Banca d’Italia fa come Pollicino. Semina molliche di pane per segnalare a futura memoria che lei l’aveva detto. Raccoglien­do subito le mollichine, si può dare un senso ai rumors che da tempo circolano in Europa. Con il “riavvio di una fase di concentraz­ione” (parole di Visco), cioè di fusioni, tornano d’attualità i grandi matrimoni trans-nazionali. L’unica cosa certa è che se ne parla. Le candidate italiane sono naturalmen­te Intesa e Unicredit, destinate a unirsi verosimilm­ente con partner francesi o tedeschi, e interessat­e a farlo entro il 2019, cioè con la garanzia dell’italiano Mario Draghi al vertice della Bce. Il governo tedesco sta cercando un compratore per la sua quota del 15 per cento in Commerzban­k e il candidato ideale potrebbe essere non Unicredit, già presente in Germania, ma proprio Intesa. Ci sarebbe da convincere i dirigenti di Commerzban­k a prendere ordini da italiani, ma l’operazione riequilibr­erebbe l’annessione di Unicredit all’impero francese di Société Générale e darebbe all’Italia un riconoscim­ento di pari dignità nella nascente unione bancaria alla quale le sue banche, come abbiamo visto, dovranno pagare prezzi salati. Nulla dimostra che andrà così. Ma è sicurament­e vera l’idea di mettere in sicurezza i due pilastri del sistema bancario italiano mentre gli altri istituti balleranno. Passata non è la tempesta.

Twitter@giorgiomel­etti

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