Il risiko europeo per porre al sicuro le banche italiane
Senza rispetto per l’angosciosa temperie politica, le cose continuano ad accadere. Lunedì scorso il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha tenuto una lectio magistralis piena di sottintesi, cioè di notizie. Rozza sintesi da corso di educazione finanziaria per obbligazionisti Etruria: ci sono nubi all’orizzonte per le banche. La ripresina dell’economia italiana è in frenata dopo lo scarso ma incoraggiante più 1,5 per cento del 2017. Due giorni fa l’economista Donato Masciandaro ha segnalato sul Sole 24 Ore che, a dieci anni dall’inizio della Grande Crisi, potrebbe arrivarne un’altra, ancora di natura finanziaria, determinata dall’eccesso di denaro a tassi minimi. Il titolo dice tutto: “La bolla che nessuno ha voglia di vedere”.
Dice Visco: “I progressi finora conseguiti dal sistema bancario italiano sono significativi, ma rimangono aree di vulnerabilità, soprattutto, anche se non solo, tra gli intermediari di minore dimensione”. Con la tecnica del “ma anche” il governatore comunica che ci sono grandi banche a rischio. Dopo i due giganti Intesa Sanpaolo e Unicredit abbiamo corazzate tascabili come Mps, Ubi e Banco-Bpm, tutte assillate dallo smaltimento dei crediti deteriorati. La vigilanza europea della francese Danièle Nouy è in pressing. La banche italiane hanno troppe sofferenze (crediti inesigibili) e Utp (crediti dubbi) e devono disfarsene prima possibile, anche se l’operazione costerà a ciascuna svariati miliardi. Visco è spaventato: “Costringere gli intermediari a cedere queste attività troppo in fretta e a prezzi troppo bassi, di liquidazione, potrebbe rappresentare una fonte di instabilità e darebbe luogo a un indesiderato trasferimento di valore dalle banche agli acquirenti”.
In piena sintonia con i banchieri italiani, Visco è arrabbiatissimo per la severità della Nouy, che rischia di favorire i fondi avvoltoio, e per un assetto di regole europee “del quale vanno corretti gli eccessi di rigidità”. La avverte che “interventi generalizzati, concitati e prociclici non sono d’aiuto”, e nota che “si devono prendere in considerazione tutti i rischi, non un loro sottoinsieme”, con malizioso riferimento ai derivati di cui sono piene le banche tedesche, “strumenti illiquidi e caratterizzati da opacità e complessità”.
LA STORIA RECENTE ci ha insegnato che la Banca d’Italia fa come Pollicino. Semina molliche di pane per segnalare a futura memoria che lei l’aveva detto. Raccogliendo subito le mollichine, si può dare un senso ai rumors che da tempo circolano in Europa. Con il “riavvio di una fase di concentrazione” (parole di Visco), cioè di fusioni, tornano d’attualità i grandi matrimoni trans-nazionali. L’unica cosa certa è che se ne parla. Le candidate italiane sono naturalmente Intesa e Unicredit, destinate a unirsi verosimilmente con partner francesi o tedeschi, e interessate a farlo entro il 2019, cioè con la garanzia dell’italiano Mario Draghi al vertice della Bce. Il governo tedesco sta cercando un compratore per la sua quota del 15 per cento in Commerzbank e il candidato ideale potrebbe essere non Unicredit, già presente in Germania, ma proprio Intesa. Ci sarebbe da convincere i dirigenti di Commerzbank a prendere ordini da italiani, ma l’operazione riequilibrerebbe l’annessione di Unicredit all’impero francese di Société Générale e darebbe all’Italia un riconoscimento di pari dignità nella nascente unione bancaria alla quale le sue banche, come abbiamo visto, dovranno pagare prezzi salati. Nulla dimostra che andrà così. Ma è sicuramente vera l’idea di mettere in sicurezza i due pilastri del sistema bancario italiano mentre gli altri istituti balleranno. Passata non è la tempesta.
Twitter@giorgiomeletti