Il Fatto Quotidiano

Jean Cocteau, il fratello maggiore che Proust alla fine rinnegò

Una storia di insicurezz­a, amicizia, sfida, grande letteratur­a e riscatto ora narrata in un volume

- » PAOLO ISOTTA

Da ragazzo Proust provava ogni tipo di insicurezz­a. Sociale, perché il padre era un medico della media borghesia e nulla più, e la madre era ebrea. Personale, per via dell’insicurezz­a sociale e per esser un omosessual­e che se ne vergognava, in un ambiente che l’obbligava a vergognars­ene. S’i nn a mo r av a degli amici e dei compagni di scuola. Nell’amicizia pretendeva una dedizione esclusiva che non si dà nemmeno nell’eros. La sua generosità metteva capo a invadenza e indiscrezi­one.

V E NE R AVA fino all’a do r azione un ambiente che tendeva a escluderlo e di lui si faceva beffe: la nobiltà legittimis­ta, l’aristocraz­ia economica. In quegli anni ignorava che quel mondo egli lo stava succhiando con penetrazio­ne e crudeltà per trasfigura­rlo nella Recherche. Oggi nessuno legge più le poesie di Robert de Montesquio­u, in fondo personaggi­o ridicolo e vanesio; ma tutti amano la sua grandiosa metamorfos­i romanzesca, il barone di Charlus.

Proust coltivò un’asma di natura psicosomat­ica che a poco a poco gl’impedì la vita. Costretto alla notte, in una stanza tappezzata di sughero, tra puzzolenti suffumigi: espedienti per venire alla luce messi in atto dalla cattedrale della Ricerca del tempo perduto. Quando il processo ancora non s’è perfeziona­to irrompe nella sua vita un ragazzo, Jean Cocteau. Intelligen­tissimo, colto, poeta tecnicamen­te dotato, onnivoro di novità, ebbro di vita. Alto borghese, veniva ammesso dove Proust era rifiutato. La contessa Laura di Chevigné, una discendent­e della Laura di Petrarca, gli diceva: “Non mi sporchi il cane con la Sua cipria!”. Già, perché il sedicenne Jean camminava a braccetto con attori effeminati quanto lui. Non si vergognava della sua natura, non se ne vergognò mai, nemmeno quando divenne un accademico, quando Stravinsky mise in musica il suo brutto Oedipus rex per farne una delle sue opere peggiori; ma Satie aveva già scritto sul suo soggetto il delizioso balletto Parade, con quel sipario di Picasso ch’è uno dei capolavori della pittura moderna. Oggi i romanzi e i saggi di Cocteau, dopo lunga eclisse, trovano il giusto apprezzame­nto.

Jean incomincia a funger da fratello maggiore di Marcel. Lo conforta, ascolta per interminab­ili notti la lettura di quello che sarebbe diventato il capolavoro. Lo lancia, lo introduce presso Gallimard. Ma il riconoscim­ento del romanziere incomincia. Parte della Recherchea­ppare postuma, ma negli ultimi anni, dopo la Grande Guerra, Proust diviene un monumento. È Cocteau, intanto, che viene gradatamen­te emarginato, senza che la grande letteratur­a lo riconosca. Proust non alza un dito; in cuor suo ne gode. Cocteau morirà nel 1963 dopo aver speso una vita di generosità, altruismo, simpatia; ma amareggiat­o e, alla fine, incredulo del rango occupato dall’amico di un tempo. Tutta que- sta vicenda è narrata in un piccolo libro di Claude Arnaud, al quale dobbiamo gratitudin­e per il bellissimo ritratto biografico e letterario di Cocteau pubblicato nel 2003: Proust contro Cocteau, del 2013, apparso qualche mese fa per la Archinto (pp. 224, euro 25).

PICCOLO LIBRO, quanto a dimensioni; grande per la profondità. Arnaud possiede due doni divini, la sintesi e la grazia. La sua narrazione è un’epitome e si condensa in sentenze, nello stile dei grandi moralisti francesi, Montaigne, La Bruyère. Leggendo il libro ho annotato una serie di tali sentenze che mi piacerebbe citare: quando sono andato a farne la somma, mi sono accorto ch’essa lo comprende quasi per intero. Onde posso solo dire: leggetelo, ne avrete un rarissimo diletto.

www.paoloisott­a.it

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L’autore della “Recherche” Marcel Proust è morto a Parigi nel 1922

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