Il modello Spagna e le amnesie dei suoi fautori: una proposta
Franza o Spagna, al solito. E s’intende che i grandi media quando non magnificano l’esempio del giovane bombarolo Macron, si buttano forte su quello dei cugini iberici. Ieri, appunto, era il turno della Spagna, che – dice il Financial Times – ci ha superato quanto a “Pil pro capite a parità di potere d’acquisto”. Ne è seguito il diluvio atteso di servizi tv ed editoriali sulla “lezione” spagnola. Ora il “Pil pro capite etc” non misura come stanno i cittadini: non tutta la ricchezza prodotta in un Paese resta in quel Paese (cosa assai probabile per una colonia economica tedesca come la Spagna). Ha spiegato, ieri sul Fatto, Franco Mostacci dell’Istat che, nel caso, meglio usare il “reddito disponib il e ”: 18.666 euro in Italia contro 16.457 in Spagna, differenza che sale ancora considerando i trasferimenti in natura dello Stato (sanità, scuola, etc). Il dato banale è che il Pil spagnolo, pur assai inferiore a quello italiano, in questi anni sta crescendo di più, ma il fine psicologico è indicare il modello: riforme dure (ulteriore distruzione della capacità contrattuale dei lavoratori) che andrà tutto bene. Certo, bisogna dimenticarsi di qualche particolare: lo Stato spagnolo in questi 10 anni ha avuto deficit molto più alti del nostro spingendo la crescita; la popolazione è diminuita (emigrazione), ma la disoccupazione resta elevata (16,5% a fine 2017); i salari reali sono crollati. Modesta proposta: chi propaganda il modello spagnolo si spenda per avere più deficit pubblico per tutti e inizi a fare le dure riforme a partire dal suo stipendio. Poi se ne riparla.