Il Fatto Quotidiano

Federica e i cronisti minacciati hanno bisogno dello Stato

IL SINDACO DI ROMA VIRGINIA RAGGI IN PRIMA FILA MENTRE LA GIORNALIST­A DI “REPUBBLICA” FEDERICA ANGELI TESTIMONIA CONTRO IL CLAN SPADA DI OSTIA

- ANTONIO PADELLARO

“SONO QUI perché le istituzion­i non devono mai lasciare soli i cittadini soprattutt­o quando si tratta di lottare contro la mafia. Sono qui come sindaco della città per lanciare un messaggio forte e duro contro la malavita”.

MI VIENE IN MENTE una recente sentenza della Cassazione quando leggo del coraggio di Federica Angeli. Ha stabilito che anche le telefonate mute sono molestie e in qualche modo minacce. È capitato a molti, spesso a chi fa il nostro mestiere. Il telefono squilla. Pronto? Silenzio. Una, dieci, troppe volte finché si chiede un altro numero, possibilme­nte anonimo. Intanto però un tarlo ti accompagna. Chi è? Cosa vogliono da me? Ti senti minacciato, spiato, sporcato da quella voce muta. Quando esci ti guardi intorno, cambi le tue abitudini e quelle dei tuoi cari. E magari prima di scrivere un pezzo che tratta delle malefatte di questo o di quello ci pensi bene. Ora, provate a moltiplica­re questa intrusione per mille e avrete una pallida idea di ciò che Federica (la chiamo per nome anche se non ci conosciamo) ha dovuto passare. Di come, da anni, la sua esistenza sia stata stravolta. E quella della sua famiglia. E quella dei suoi figli ancora piccoli. Per cosa, poi? Per non darla vinta ai criminali. Continuand­o a vivere lì, blindata, in quel quartiere di Ostia occupato militarmen­te dai mafiosi. Gli stessi che incroci per strada, nei negozi, delinquent­i che ti sfidano con lo sguardo, con il sorriso dell’impunità. Che osano perfino intimidire tuo figlio perché non vogliono più leggere le inchieste che malgrado tutto continui a scrivere. Perché sanno che sai, che hai visto ciò che non dovevi vedere e non vogliono che testimoni contro la famiglia Spada. Finalmente alla sbarra. Federica ma chi te lo fa fare, pensa alla salute. Ma Federica ha tenuto duro, ha testimonia­to, ha vinto la sua battaglia, che è anche la nostra se ci sentiamo Stato. Che è quella dei tanti giornalist­i che, soprattutt­o al Sud, in posti lontani dai riflettori della cronaca nazionale, vivono la quotidiani­tà delle minacce. Dei soprusi. Dell’amico che ti mette la mano sulla spalla: ma chi te lo fa fare? Dei parenti che forse ti consideran­o un problema. Fino a che si scopre che qualcuno voleva farti la pelle. Penso a uno fra i tanti, al collega Paolo Borrometi cronista dell’Agi, colpevole di non essersi voltato davanti a “quelle” notizie. Di aver scritto, di averci informato. Per questo insultato e minacciato da un boss di Siracusa. Giornalist­i che avrebbero bisogno della solidariet­à, troppo spesso latitante, delle istituzion­i. Di un sindaco come Virginia Raggi che ti si siede accanto.

Antonio Padellaro - il Fatto Quotidiano

00184 Roma, via di Sant’Erasmo n°2 lettere@ilfattoquo­tidiano.it

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