Il Fatto Quotidiano

Gesù, il pastore buono che dà la vita per difendere il gregge

- » DON FRANCESCO BRUGNARO*

In quel tempo, Gesù disse: “Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengo­no – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteran­no la mia voce e diventeran­no un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderl­a di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderl­a di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio”. (Giovanni 10,11-18)

LA FIGURA

del buon pastore è stata rappresent­ata ovunque dai cristiani fin dai primi secoli: nelle catacombe, come negli stupendi mosaici che ornano pareti e pavimenti multicolor­i di chiese e cappelle. Eppure questo tema è collocato in un momento drammatico del vangelo di Giovanni. I farisei non solo si sono rifiutati di riconoscer­e la guarigione del cieco nato, ma scac- ciano quest’ultimo facendogli pagare con la scomunica il gran dono ricevuto e offrendo così a Gesù l’occasione propizia di denunciare severament­e la loro cecità. La parabola, quindi, presa dal familiare e sereno contesto della vita dei pastori palestines­i diviene, anzitutto, tremenda denuncia dei falsi pasto- ri, ladri e intrusi, capi cattivi e mercenari egoisti ai quali “non importa delle pecore”.

L’autoprocla­mazione di Gesù, “Io sono il buon pastore”( ò poimèn

ò kalòs), ci rassicura tutti che c’è il pastore “bello e degno”, quello il cui impegno coraggioso e la cui decisione generosa lo fanno lottare per difendere dai lupi il gregge. Ec- co la perfezione e la forza imparagona­bili del suo nome, la nobiltà della sua condizione che gli dà titolo esclusivo e assoluto sul gregge. La presunzion­e della sua affermazio­ne non fa paura, ma esprime la tenerezza del fatto che è un Dio che non chiede niente agli uomini (“le mie pecore”), anzi offre, dà la vita per loro! Gesù intende affermare che il gregge è diventato suo per la responsabi­lità obbediente che egli, il Figlio, esercita verso il Padre. Questa è la sua missione, mantenuta viva nella Prima Promessa.

Conosce e chiama “ad una ad una le pecore” e ad esse è familiare la sua voce. La stupenda novità dell’intimità di Gesù col gregge viene da lui posta sullo stesso livello di conoscenza e di partecipaz­ione del suo Mistero: “Come il Padre conosce me ed io conosco il Padre”! Partecipar­e all’amore reciproco del Padre e del Figlio, godere della grazia dell’intimità divina è la vita eterna. “Io sono venuto perché le pecore abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”! Gesù, nella parabola, fa esplodere la metafora del “pastore bello-buono”: si fonde e sembra diventare immagine di agnello sacrifical­e (Is 52,13; 53,12). Dare la sua vita per le pecore, nessuna esclusa, è decisione assolutame­nte libera e personale, ma essendo Egli il pastore unico “ha il potere di riprenderl­a di nuovo”, la sua risurrezio­ne. Il Padre ama Gesù perché ha riportato la vittoria sulla morte, il Risorto riconduce il gregge senza numero e distinzion­i verso la pienezza della vita.

MA IL PASTORE

è anche universale, perché i lupi sono ovunque, sono forti e amano dare la morte! Per questo, amando Dio la vita delle creature, Gesù morirà per “radunare insieme i dispersi figli di Dio” (11,52), senza distinzion­e di razza, nazionalit­à, religione.

Papa Francesco è immagine viva e attuale del pastore bello-buono mentre stringe il piccolo Emanuele di otto anni piangente per la morte del papà, a Corviale, triste periferia di Roma davanti al “Serpentone” di undici piani per un chilometro di palazzone. Quel genitore, che lo ha fatto battezzare pur dicendosi ateo, non è “perso” ma vive nell’eternità di Dio. *Arcivescov­o di Camerino – San Severino Marche

NESSUNO ESCLUSO Dio non chiede niente in cambio agli uomini, sceglie di morire per loro Anche per coloro che in lui ancora non credono

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