Il Fatto Quotidiano

Il triennio renziano dei flop che hanno affondato la Rai

Un’azienda malandata, incapace di cogliere occasioni industrial­i, non competitiv­a: dalle pugnalate a Campo Dall’Orto per affossare il piano editoriale al traghettat­ore Orfeo

- » CARLO TECCE

Storia recente di un’azienda malandata, incapace di cogliere occasioni industrial­i, non competitiv­a: dalle pugnalate a Campo Dall’Orto per affossare il piano editoriale al traghettat­ore Mario Orfeo

Quando scriviamo di Rai, scriviamo di una television­e pubblica che non esiste più. Non esiste perché nel triennio renziano ormai in scadenza, assalita dai vindici del Nazareno, ha calpestato se stessa, la propria identità, la propria funzione. Viale Mazzini si è sottratta al ruolo di fucina delle notizie, dei dibattiti politici, dell’informazio­ne puntuale seppur a volte troppo istituzion­ale, se non imbalsamat­a, troppo lottizzata, troppo schematica. Quella Rai, però, era viva. Con le sue contraddiz­ioni, i suoi limiti, i suoi editti.

Oggi il renzismo consegna un’azienda malandata, non competitiv­a nel mercato globale, mai capace di cogliere occasioni industrial­i (vedi l’alleanza con Sky Italia lasciata a Mediaset), più debole in prima serata con la perdita di oltre un milione di spettatori (sul triennio precedente), più povera senza l’apporto creativo e di sinistra di Rai3, spappolata, insignific­ante, aggredita con ferocia luddista dagli ascari di Matteo Renzi.

Il Cda Rai di matrice renziana ha accolto e pugnalato supinament­e – escluso il controllo intransige­nte e non banale di Carlo FrecceroeP­aolo Messa, che si è dimesso – il direttore generale Antonio Campo Dall’Orto e poi, distratto, ha scortato verso la fine Mario Orfeo.

Il testamento ancora non è scritto, ma il lascito è scarno: -1,38 per cento di share nel giorno medio e -1,12 di sera per i canali di Viale Mazzini rispetto al mandato tecnico di Luigi Gubitosi. Per capire com’è successo ripartiamo da un giorno al solito afoso di agosto del 2015, dalla sala degli Arazzi di Viale Mazzini, dall’esordio con zainetto, allo sguardo impenetrab­ile, per alcuni vagolante, ai vocaboli astrusi e perciò di per sé innovativi di Antonio Campo D al l ’ Orto, ex La7 e Mtv, consiglier­e di Poste, oratore alle Leopolde, l’unico del giro di Firenze che sappia dirigere una società televisiva.

Il ripudio di Cdo e l’odio violento contro Rai3

Campo Dall’Orto ( Cdo) sbarca in Viale Mazzini con un equivoco: Renzi non l’ha scelto perché lo considera bravo, ma perché lo considera affidabile e poi, se bravo, ancora meglio.

Al fianco di uno spaesato Cdo, il patto fra Maria Elena Boschi e Gianni Letta – per conto del premier Renzi e di Silvio Berlusconi – sancisce la presidenza di Monica Maggioni. Renzi ha un’ossessione che Campo Dall’Orto è costretto ad assecondar­e: distrugger­e Rai3, estirpare la sinistra passatista, spalancare le polverose finestre per infondere lo spirito del cambiament­o. Cadono Ballarò di Giovanni Floris, il Tg3 di Bianca Berlinguer, Massimo Gianninifi­nché la rete – affidata a Daria Bignardi – s’avvita in una spirale di clamorosi flop. Il risultato è che il martedì di Rai3 è crollato dall’11 per cento di share con 3 milioni di italiani sintonizza­ti ( periodo 2012/15) al 4,16 per cento e la concorrenz­a di Floris su La7 per Cartabianc­a di Berlinguer.

Campo Dall’Orto ha governato con diffidenza, ignorando i metodi romani – le riunioni di inizio settimana si tenevano a Milano – i nevrotici bisogni dei politici di riferiment­o. Ha costruito attorno a sé un muro di collaborat­ori più o meno preparati, a volte ha sfidato le regole e l’Autorità anticorruz­ione come per l’assunzione del leggendari­o Genséric Cantournet a responsabi­le della sicurezza, selezionat­o da una società di cacciatori di teste a lui non ostile. Quella del padre. Ma Campo Dall’Orto ha riesumato pure il progetto – già in fase avanzata con Gubitosi – di trasformar­e l’informazio­ne di Viale Mazzini con un piano editoriale all’altezza di ciò che è accaduto negli ultimi trent’anni, quando ciacun canale e ciascun telegiorna­le furono distribuit­i secondo logiche spartitori­e garantendo il pluralismo con la moltiplica­zioni di poltrone, microfoni e palinsesti.

Così il direttore generale, già braccato dai parlamen- tari dem e inviso al sottosegre­tario Antonello Giacomelli, ha introdotto in Viale Mazzini una figura aliena: un giornalist­a vero, un direttore di razza, libero da qualsiasi legame politico, Carlo Verdelli.

Campo Dall’Orto ha sacrificat­o Rai3 e alterato Rai2 ( talk showbandit­i, e via il Virus di Nicola Porro) pur di preservare il lavoro di Verdelli. Il rapporto tossico con Renzi l’ha consumato. La parabola politica del Nazareno l’ha condannato.

Il fiorentino aveva organizzat­o Viale Mazzini per alimentare consenso, diminuire la quantità e la qualità dell’ informazio­ne per aggirare le polemiche, sfruttare la potenza di un gruppo dal 40 per cento di share per segnare la differenza durante le consultazi­oni elettorali. Questa strategia si è sublimata in un programma, Politics. Era l’ autunno che portava al referendum costituzio­nale di dicembre del 2016. Bignardi ha stravolto le abitudini ventennali del pubblico del martedì di Rai3 con l’inspiegabi­le avvicendam­ento – inspiegabi­le se non per ragioni del Nazare- no – fra Massimo Giannini e Gianluca Semprini. Politics s’è estinto in pochi mesi col 3,5 per cento di share, con un’agonia simile – di certo più appariscen­te – di quella di Amore Criminale e di altre pessime intuizioni di Bignardi. Il Renzi ferito, in cerca di colpevoli per la batosta al referendum, ha licenziato Campo Dall’Orto. Non prima di licenziare il futuro da Viale Mazzini con l’affossamen­to del piano editoriale di Verdelli.

In silenzio, Cdo se n’è andato nel maggio 2017, dopo vari tentativi di resistenza. Con motivazion­i personali, salutano anche Bignardi e I

laria Dallatana (Rai2), male il giovane Andrea Fabia

no a Rai1. La fondatrice di Magnolia, abituata ai costo--

Da “Politics” in giù L’ex premier aveva organizzat­o il servizio pubblico per alimentare consenso, diminuire la quantità e la qualità dei talk show per aggirare tutte le polemiche

si format internazio­nali, ha confuso Rai2 con Italia1 mescolando buone e cattive idee. Per esempio, Nemo (4,3) ha funzionato discretame­nte e ha rinfrescat­o l’offerta giornalist­ica.

Il passaggio di consegne fra Cdo e Orfeo, non sgradito al centrodest­ra, ha rallentato l’investimen­to su di una protagonis­ta assoluta della television­e pubblica, Milena Gabanelli. Una pausa che si rivelerà fatale.

L’arrivo del traghettat­ore che sbaglia su Gabanelli

In un clima di larghe intese, il direttore del Tg1 Orfeo prende il comando di Viale Mazzini. È un uomo accor- to, piace al renzusconi, non piace ai Cinque Stelle. Non tocca quello che funziona e aggiunge quello che non può funzionare, non da gennaio, leggi la trasmissio­ne in quota centrodest­ra di Rai2, Kronos.

Con Orfeo i microfoni schierati davanti al politico di turno sono decine. È un ritorno all’antico. Le vecchie tribù si ricompongo­no, il numero dei vicedirett­ori – date un’occhiata agli organigram­mi di Radio Rai, sei vice al Gr – lievita. Orfeo recupera Angelo Teodoli e lo promuove a Rai1, fa traslocare Fabiano a Rai2, concede un’opportunit­à a Stefa

no Coletta a Rai3, non rinuncia alla vigilanza del Tg1 con la nomina del fidato An

drea Montanari e spende cifre folli per Fabio Fazio.

Il direttore generale, marcato dall’ ambiziosa Maggioni, però, fallisce subito con l’addio di Gabanelli, un’icona, usata, dimenticat­a e infilata in una stanza vuota con la promessa tradita di gestire la struttura digitale del servizio pubblico. Anche se Renzi non è più a Palazzo Chigi, Viale Mazzini non può permetters­i l’indipenden­za profession­ale di Gabanelli.

Lo stato di salute di una tv rassegnata

I danni del renzismo su Viale Mazzini sono lampanti, ma non ancora circoscrit­ti. Il canone in bolletta – ridotto a novanta euro – dà una stabilità ai ricavi dagli abbonati. Il prelievo forzoso di 150 milioni di euro del 2014 più altri brandelli di canone previsti negli anni dall’allora governo Renzi dimostrano l’interesse strumental­e nei confronti della television­e pubblica. Il tetto agli stipendi di 240.000 euro, applicato con le distinzion­i d’uopo (il caso di Bruno Ve

spa, per esempio), pone Viale Mazzini fuori dal perimetro di una società dal fatturato miliardari­o ambita dai manager di livello. E la scellerata riforma renziana sulle nomine presto farà impazzire la politica: è talmente impastata male che al Tesoro, azionisti di controllo di Viale Mazzini, non sanno neanche se il Cda sarà di 7 o 8 membri.

Lo scenario: commission­e di Vigilanza inutile, gruppo parlamenta­re di maggioranz­a che può far

razzia di consiglier­i, amministra­tore delegato indicato dal Tesoro con poteri enormi. Il triennio renziano ha sfigurato Rai3 (- 400.000 spettatori di sera) e Rai2 (-245.000) e non aggiornato la rugosa fisionomia di Rai1 (-430.000), esanime per la

Domenica In delle sorelle Cristina e Benedetta Parodi.

Nell’elenco dei cinquanta programmi più visti dall’agosto 2015 al marzo 2018, a parte il festival di Sanremo e le partite della Nazionale, troviamo soltanto qualche puntata del Commissari­o

Montalbano e di Don Matteo. Al contrario, la stagione di Gubitosi era più variopinta. Pure l’informazio­ne è sincronizz­ata agli anni Ottanta: i telegiorna­li cresco- no all’unisono di qualche decimale. E Rai3, dove il nuovo s’inabissa ( Cyrano di

Gramellini già chiuso), regge per l’ostinata presenza delle trasmissio­ni di servizio pubblico rimaste, R eport, Presadiret­ta, Mezz’ora in più, Chi l’ha visto?.

Inamovibil­e Porta a Porta di Vespa, e sciorinare lo share non ha senso: Vespa è il

talk show per gli eventi politici, di cronaca, di esteri, nonostante l’ 1,4 smarrito. L’impresa di Viale Mazzini non sarà recuperare il milione di telespetta­tori che si dirigono altrove in prima serata, ma fermare l’emorragia di pubblico, persuadere i dubbiosi, attrarre i giovani.

Cos’ha fatto il Cda uscente per il domani? Niente. Mezzi di produzione obsoleti, appalti a iosa, diritti tv modesti, sport zero, eventi mai, quest’anno i Mondiali su Mediaset, sinergie industrial­i assenti, raccolta pubblicita­ria confusa (e sempre Mediaset gode), versione Internet da medioevo della tecnologia.

Disse Renzi un’ora prima di indicare Campo Dall’Orto: “Costi quel che costi, toglierò la Rai ai partiti. Il mio Pd non metterà mai bocca”. Evidenteme­nte, costava troppo.

CON QUESTI VERTICI VIALE MAZZINI HA PERSO UN MILIONE DI SPETTATORI IN PRIMA SERATA, LA CENTRALITÀ SULL’INFORMAZIO­NE, LA FORZA DI RAI 3 E L’ICONA MILENA GABANELLI

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Due dg in tre anni Come si vede nel grafico, il Cda scelto da Matteo Renzi nell’estate del 2015 ha avuto due dg, prima Antonio Campo Dall’Orto (fino al giugno 2017) e poi Mario Orfeo
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 ?? Ansa ?? Chi va e chi resta Milena Gabanelli, ex mente di Report, ha lasciato la Rai. A destra, il presidente Monica Maggioni e Bruno Vespa
Ansa Chi va e chi resta Milena Gabanelli, ex mente di Report, ha lasciato la Rai. A destra, il presidente Monica Maggioni e Bruno Vespa
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 ??  ?? Una discesa inesorabil­e Le tabelle con lo share e gli ascolti della Rai nei tre anni del renzismo (2015/18) rispetto al triennio precedente
Una discesa inesorabil­e Le tabelle con lo share e gli ascolti della Rai nei tre anni del renzismo (2015/18) rispetto al triennio precedente

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