Il Fatto Quotidiano

“Il mio piano, musica per chi sa acoltare”

Il pianista marchigian­o, dopo “La Notte della Taranta”, è reduce dalla tournée in Giappone con il suo “Best of”

- » ALESSANDRO FERRUCCI

Ognuno ha il proprio passo, i propri tempi, e quando la protagonis­ta è la musica, anche i tempi diventano delle note oltre lo spartito e le apparenze; così c’è chi vive la musica per ottemperar­e alle proprie esigenze, e chi come Raphael Gualazzi la vive come esigenza primaria, “tanto che non farei altro tutto il giorno, sempre”, e anche i concerti diventano delle parentesi troppo corte rispetto alle necessità personali, “e quando sono sul palco andrei avanti oltre il previsto. A volte mi fermo solo per non far incavolare il mio gruppo”. Alto più di tanto, fisico importante più di tanto, a 37 anni è una star non solo per palati fini, in Italia Sanremo prima e la Notte della Taranta poi lo hanno sdoganato dal ruolo di bravo per chi ama il jazz e le sue declinazio­ni, “però non riesco a inquadrarm­i in un solo genere: da ragazzo ascoltavo anche i Pantera e i Metallica (gruppi heavy metal statuniten­si)”. Da poco è tornato dal Giappone, dove hanno pubblicato una sua raccolta di successi. Nemo profeta non solo in patria...

È un altro lato bello di questo lavoro, poter viaggiare grazie alla musica, pagato, mentre un tempo dovevo racimolare i soldi, o magari chiedere ai miei genitori, per non perdermi i grandi appuntamen­ti nel mondo, come il Festival jazz in Indonesia.

Dove è più conosciuto, all’estero?

In Francia va molto bene, ma anche la Germania non è male. Su un palco non parla molto con il pubblico...

Perché le persone vengono ad ascoltare la musica, e poi quando si suona, bisogna prima creare un’atmosfera tra i musicisti, nel momento in cui arriva la giusta complicità, allora si può aprire la scena alla platea e rendere l’atmosfera ancora più magica. L’opposto rispetto ai comuni frontman...

Sono così, senza il giusto clima non riesco a rivolgermi agli spettatori, non lo trovo rispettoso.

Sicuro che non sia timidezza?

Non credo, anzi a volte è il pubblico a dettare la scaletta: se percepisco la necessità di un pezzo, lo suono, non aspetto il momento concordato e varia pure la lunghezza del brano: se funziona può durare dieci minuti.

Ha mai pensato di percorrere un’altra strada rispetto a quella musicale?

Ho studiato Conservazi­one dei Beni Culturali, poi l’idea di una vita chiuso in un solo posto, senza pianoforte, mi ha angosciato.

E...

Ho inciso un mini disco con una qualità del suono pessima, una pronuncia terrifican­te, quasi imbarazzan­te, eppure ha funzionato. E non è stata neanche una mia idea, ma di un mio amico. Però la carriera non è decollata immediatam­ente. È passato qualche anno, ma senza particolar­e ansia da prestazion­e, a me andava bene pure suonare nel pub della mia cittadina.

Urbino.

Lì c’è un locale, si chiama il Caffè del Sole, avevo 20 anni e mi chiedono di lavorare la sera per suonare qualche brano di musica classica. All’inizio non veniva nessuno, alcuni amici e basta; poi nell’arco di un annetto hanno iniziato a chiamare i vigili per controllar­e tre, quattromil­a persone presenti.

Suo padre è un musicista che ha suonato con Ivan Graziani.

Tra loro c’era un rapporto di forte amicizia e le famiglie si sono spesso frequentat­e. Persona vera, sincera, carattere forte e onesto un po’ come le sue canzoni. Cantautore sottovalut­ato...

Purtroppo oggi la percezione di tutto è un po’ distratta, forse c’è una bulimia della fruizione; oggi esiste l’ascoltator­e e il consumator­e, e oramai vincono sempre i secondi.

Cos’è il successo?

Per me è avere delle date e poter suonare.

Va poco in tv.

Non mi interessa molto, è solo funzionale per poter suonare, ma niente di più.

Chi ringrazia?

Lista lunga: dalla mia famiglia a Caterina Caselli e la Sugar, il mio manager Marco, fino a Gegè Telesforo: lui mi ha guidato a trarre insegnamen­to dagli altri, da qualcosa di diverso, come poi ho sperimenta­to a New Orleans...

La città dei sogni... Esatto, lì mi sono lanciato in ogni situazione dalle undici del mattino fino a piena notte. Qualità degli artisti trovati?

Senza eguali. In un negozio di dischi ho scoperto il vinile di un tizio che negli anni Quaranta cantava con la stessa inflession­e di Elvis, solo che allora gli artisti di colore arrivavano solo fino a un certo punto, le vette erano dei bianchi.

Insomma, lì si è lanciato in una jam session. Ricordo un anziano elegantiss­imo, papillon e doppiopett­o, con un pianoforte che mi sembrava scordato e suonato con un atteggiame­nto quasi stanco o svogliato. Dopo un po’ ho capito: era solo un’affermazio­ne del proprio sound, alla fine sono andato ad ascoltarlo tutti i giorni.

Suonava con loro?

La prima volta mi avvicino, chiedo se posso dedicare una canzone alla mia ragazza, “va bene”. Non mi sono più alzato, mi hanno dato dritte.

L’anno scorso è stato il maestro concertato­re de La Notte della Taranta.

Il ritmo misterico che c’è dietro la pizzica è simile a quello del blues. Ho arrangiato quaranta brani, dalle nove del mattino alle cinque del pomeriggio, e poi un caldo assurdo, io lo soffro, però esperienza bellissima, con cinquantam­ila persone anche solo per le prove.

E poi...

Finito il mega concerto ho pensato “ok, va bene, basta”. E invece siamo andati a mangiare e hanno riniziato fino alle sette del mattino. È un patrimonio incredibil­e, andrebbe promosso nel mondo, è il punto di congiunzio­ne tra la cultura greca e quella italiana.

Caterina Caselli.

Sul piano musicale abbiamo dei gusti simili, amiamo il soul; poi su certe situazioni scattano le opinioni differenti, a esempio credo che se un brano nasce in inglese, nella traduzione si perde qualcosa.

Lei non è da volume alto... Quando suonavo nei ristoranti temevo sempre di disturbare, quindi abbassavo. Una sera si avvicina un ragazzo e mi dice: “Scusa, secondo me sei bravo, potresti alzare? Perché non si sente nulla”.

A 37 anni cosa ha capito? Che l’onestà intellettu­ale con se stessi va conquistat­a ogni giorno.

Twitter: @A_Ferrucci

UN “ANIMALE” DA CONCERTO

“Quando sono sul palco andrei avanti ore. A volte mi fermo solo per non far incavolare il mio gruppo”

NON SOLO UN JAZZISTA

“Onestament­e non riesco a inquadrarm­i in un solo genere: da ragazzo ascoltavo anche i Pantera e i Metallica”

In un negozio ho trovato il vinile di un tizio che negli Anni 40 sembrava Elvis, ma allora gli artisti di colore erano ghettizzat­i

A NEW ORLEANS

All’inizio non veniva nessuno, amici e basta. Dopo un anno hanno dovuto chiamare i vigili per controllar­e 3-4 mila persone presenti

GLI ESORDI A URBINO

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LaPresse/Ansa All’Ariston L’esibizione nel 2014
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