Class action europea, novità senza futuro
La proposta non ha niente a che vedere con quella americana. E gli industriali l’affosseranno
Lo scorso 11 aprile, nelle stesse ore in cui negli Stati Uniti un giudice federale ha dato l’ennesimo via libera a una class action (nel caso in questione quella contro la società guidata da Mark Zuckerberg per la violazione delle norme sul riconoscimento facciale di Facebook), la Commissione europea ha presentato a Bruxelles un pacchetto con due proposte di direttiva, battezzato “New Deal per i consumatori”, che permetterà di far valere in modo più efficace i propri diritti e ottenere compensazioni o risarcimenti in caso di pratiche commerciali illecite, sleali o ingannevoli da parte di chi produce e vende prodotti o servizi. L’innovazione più importante è la possibilità di ricorsi giudiziari collettivi ( collective action), per cui un soggetto qualificato e riconosciuto potrà esigere il risarcimento o la riparazione del danno, a nome e per conto di un gruppo di consumatori che sono stati lesi dalla stessa pratica scorretta.
Bene, benissimo. Mica tanto. Anche se le associazioni dei consumatori e la commissaria Ue alla Giustizia, Vera Jourova, si dicono soddisfatti non solo la proposta è lontana dal concretizzarsi (dovrà ottenere il via libera da Parlamento e Consiglio europeo; in pratica passeranno alcuni anni), ma dovrà anche scontrarsi con i grandi industriali che da sempre hanno ostacolato la class action nei singoli Stati. A partire dall’Italia.
UN PASSO indietro per capire meglio. A 8 anni dal varo della class action italiana (prevista dall’articolo 140 bis del Codice del Consumo e, guarda caso, modificata nel 2012 con il decreto Liberalizzazioni per far sfumare le speranze dei risparmiatori coinvolti nei crac finanziari Parmalat, Cirio e Argentina), questo strumento si è rivelata un vero fallimento testimoniato dallo scarso numero di azioni collettive che hanno superato la fase di am- missibilità. Eppure basta fare un po’ di rassegna stampa e scoprire che quasi ogni giorno qualcuno la invoca: dagli iPhone rallentati alle buche di Roma passando per le peripezie dei pendolari all’acqua non potabile in Sardegna. Molta carne al fuoco e poche soddisfazioni. Tanto che si possono contare sulla punta delle dita le vittorie dei consumatori dal 2010: 6 correntisti rimborsati tra i 100 e i 200 euro dalla San Paolo, un gruppo di turisti che hanno pagato per alloggiare in un lussuoso resort di Zanzibar ritrovandosi in un cantiere, 300 pendolari (assistiti da Codici e Altroconsumo) che hanno ottenuto 100 euro di risarcimento da Trenord.
“L’azione di classe italiana è un flop. Oggi non fa nessuna paura alle aziende, non le mette sotto pressione economica e psicologica, non le stimola a una maggiore correttezza nei confronti dei consumatori”, spiega Alfonso Bonafede (M5S), che da anni porta avanti una battaglia per modificare la class action e renderla un vero strumento di difesa degli interessi dei consumatori e delle piccole imprese. Ma un anno e mezzo fa, dopo aver passato indenne l’esame della Camera, il documento proposto da Bonafede si è arenato al Senato e non è mai diventato legge.
LO STOP è stato ufficializzato dall’allora ministro per le Riforme Maria Elena Boschi durante un’assemblea di Confindustria. Una gioia per la lobby industriale che da sempre teme che lo strumento si possa trasformare in un boomerang facendo esplodere i contenziosi, riuscendo così ad annullare l’efficacia della modifica. “Ma tutto il lavoro svolto fino a qui non è servito a nulla, visto che con la nuova legislatura bisognerà ripartire dall’inizio per riuscire a trasformare finalmente la class action in uno strumento efficace e regola- mentato dal Codice civile”, sottolinea Bonafede. “Confidiamo che il nuovo Parlamento, su pressione dei Cinquestelle e della Lega, da sempre disposti a modificare lo strumento, voti la nuova class action per trasformarlo da uno strumento farraginoso e inutile a uno di tutela”, dice Luigi Gabriele di Codici.
E la questione Dieselgate? Se negli Usa, la Volkswagen è stata obbligata a pagare compensazioni per 5.000 dollari a ciascun cliente ingannato, oltre a decine di miliardi di dollari in multe per aver violato la legge, in Europa nessun automobilista ha ottenuto nulla. Neanche in Germania. A maggio 2017, il tribunale di Venezia ha accolto la class action presentata da Altroconsumo contro i veicoli a marchio Vw, Audi, Skoda e Seat i cui motori (EA189 Euro 5) sono stati manipolati per truccare le emissioni delle auto e superare i test di omologazione. Ora il 6 giugno è stata fissata una nuova udienza, dopo quella int erloc utoria di fine dicembre. Altroconsumo chiede che gli automobilisti vengano risarciti del 15% del prezzo d’acquisto dell’auto. Peccato che, con la legge attuale, sarà difficilissimo visto che, al contrario di come funziona negli Usa (concorrono al rimborso anche le spese morali e legali) , in Italia vengono risarciti solo i danni effettivi (il rimborso cioè di quanto si è speso). Che per il caso Vw potrebbe essere il costo del software illegale.
Percorso a ostacoli
In 8 anni, a fronte di decine di cause presentate, solo un paio sono andate a buon fine