Il Fatto Quotidiano

Se 14 anni vi sembrano pochi: l’educazione di un “sappista” a Torino

- » STEFANO CASELLI

“Mi sta sfuggendo il senso del tempo, il sapore di quell’aria, quegli odori di divise e di armi, quei colori predominan­ti nella gente, verde o nera, e i visi con rari sorrisi, dal truculento al serio, al pavido all’arrogante; quelle guance smunte, scavate, affamate, gli occhi spiritati e quelli tristi, gli sguardi disperati e malinconic­i dei vivi, quelli fissi immobili, tranquilli, dei morti. Ammazzati”. Già dall’incipit de Solo per i morti la guerra finisce. La resistenza di un ragazzo a Torino di Silvio Borione si intuisce di avere tra le mani qualcosa di più di un libro di memorie. E “il sapore di quell’aria”, che all’autore pare sfuggire dopo 73 anni, il lettore lo sente eccome.

IN 225 PAGINE c’è tutta l’educazione sentimenta­l-resistenzi­ale di un ragazzo mai stato bambino (“Sono un prodotto tipico del mio tempo, ci hanno fatto diventare delle perfette macchine da guerra”). La storia di Silvio Borione, classe 1930, inizia ben prima dell’autunno 1943, quando – appena 14enne – entra a far parte delle Sap, le Squadre di azione partigiana. Silvio è infatti figlio di un operaio comunista di Borgo San Paolo, l’antifascis­mo è il companatic­o della sua infanzia. E le descrizion­i della vita quotidiana dello storico quartiere operaio sono forse la parte più gustosa. Un mondo fatto di persone che “amano il proprio lavoro odiando chi glielo da”,

SAP

Le Squadre di azione patriottic­a (SAP) operavano nelle città a fianco dei GAP (Gruppi di azione partigiana)

La scheda

in cui alla solidariet­à prepolitic­a del sottoprole­tariato del centro cittadino si sostituisc­e un consapevol­e e politico altruismo; un mondo di persone le cui vite erano scandite da orari e odori, chi sapeva di benzina, chi di cuoio, chi di vernice; un mondo che non si piega per vent’anni e che vive la resa dei conti come un epilogo naturale di una storia iniziata molto prima. Nei 18 mesi di guerra di Silvio Borione c’è tutto: l’incoscienz­a, la paura, la fame, il carcere, la tortura e soprattutt­o la morte. Quella data e quella ricevuta. La fine della storia è nota, ma l’autore non ne fa un lieto fine, anzi, perché come da titolo, la guerra finisce solo per i morti.

Nella memoria rimangono impresse – senza indulgenza o retorica, ma con estrema durezza – l’esecuzione di un cecchino fascista e quella di una giovane ausiliaria collaboraz­ionista verso cui l’autore riserva persino parole di tenerezza. E nel momento della liberazion­e “dopo aver bevuto le sorsate della pria libertà” si fa più amaro “il ricordo dei compagni persi e il rimpianto lacerante di non averli accanto”.

Solo per i morti la guerra finisce, pubblicato dall’Anpi del Piemonte, ha una sorprenden­te freschezza letteraria. Un buon editor interverre­bbe soltanto per eliminare qua e là aggettivi non necessari. Per il resto ha tutte le carte in regola per diventare un testo importante. Vederlo in libreria sarebbe un buon modo per celebrare il 25 aprile.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy