Il Fatto Quotidiano

Libor, la stretta monetaria occulta che avrà conseguenz­e planetarie

Il tasso a cui si prestano dollari le banche Usa è alto come ai tempi dell’euro-crisi. Il conto lo pagano imprese e famiglie

- » MARIO SEMINERIO

Da inizio anno, sui mercati finanziari è in atto un fenomeno che ha attirato l’attenzione degli osservator­i e delle tesorerie aziendali: il tasso Libor in dollari, quello al quale le banche si prestano fondi, è quasi raddoppiat­o, ed ora sulla scadenza trimestral­e si trova a circa il 2,35%, mentre il suo differenzi­ale col tasso swap overnight, legato ai finanziame­nti in contropart­ita con la Federal Reserve, è tornato su livelli visti durante la fase acuta di stress della crisi dell’Eurozona; ma oggi non sono presenti criticità del sistema bancario globale, motivo per cui si indagano le possibili cause di questo anomalo rialzo. Da inizio anno, il Tesoro statuniten­se ha fortemente aumentato l’emissione di T-Bills, titoli a breve termine equivalent­i ai nostri Bot, e questo può avere indotto le tesorerie delle banche con surplus finanziari a investire i propri fondi in questo strumento anziché prestarli ad altre banche, mettendo quindi pressione rialzista ai tassi interbanca­ri. Anche la progressiv­a conclusion­e dell’easing quantitati­vo della Federal Reserve ha un peso nell’aumento dei costi interbanca­ri: poiché la banca centrale statuniten­se otterrà dal Tesoro il rimborso dei titoli in portafogli­o e non ne comprerà di nuovi usando questa liquidità, il sistema bancario subirà una contrazion­e di riserve. Dato che le banche devono detenere a fini prudenzial­i attivi liquidi di alta qualità, è prevedibil­e maggiore domanda di T-Bills e minore do- manda di debito bancario. L’effetto finale sarà quello di aumentare il costo della provvista di denaro per le banche.

Altra determinan­te è rintraccia­bile nella riforma fiscale statuniten­se: le controllat­e americane di banche europee e che da esse si fanno prestare euro che convertono in dollari sul mercato statuniten­se, ora dovranno pagare un interesse su questi prestiti della controllan­te, quindi è prevedibil­e che si rivolgeran­no direttamen­te al mercato statuniten­se, mettendosi in concorrenz­a con le banche domestiche nella raccolta, e alzando i costi di interesse. Il combinato disposto di queste contingenz­e ha determinat­o un aumento dei costi dell’indebitame­nto bancario in dollari e, per questa via, anche del costo del debito per imprese e famiglie, visto che il tasso Libor rappresent­a la base su cui prezzare i prestiti; anche se i recenti scandali hanno costretto il sistema finanziari­o a riflettere sulla sostituzio­ne di questo tasso di riferiment­o, si calcola che siano in circolazio­ne debiti legati al Libor per 240 mila miliardi di dollari. Per chi ha debiti in dollari a tasso variabile (mutui, prestiti personali, fidi aziendali), lo shock da inizio anno è evidente, e supera di mezzo punto percentual­e il rialzo dei tassi ufficiali attuato dalla Fed. Non si può escludere che i settori più indebitati dell’economia statuniten­se (e non solo) nei prossimi mesi risentano di questa stretta creditizia frutto di conseguenz­e non previste né desiderate.

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