Il Fatto Quotidiano

Basta cazzate

- » MARCO TRAVAGLIO

Per riassumerl­o con un francesism­o, il senso dell’incarico conferito da Mattarella a Fico è questo: “Basta cazzate”. Infatti il più deluso è proprio il Re della Cazzata: Matteo Salvini (almeno da quando l’altro Matteo è venuto a mancare all’affetto dei suoi cari). Il perimetro disegnato dal Quirinale per l’esplorazio­ne del presidente della Camera è speculare a quello tracciato per quella della presidente del Senato. La Casellati doveva verificare la fattibilit­à di un’intesa fra i 5Stelle e tutto il centrodest­ra o una parte di esso (la Lega) ed è tornata al Colle con un pugno di mosche in mano: no del M5S a FI, no di FI al M5S e no della Lega al divorzio da FI. Solo le cazzate di Salvini, sempre uguali dal 4 marzo: “D ate mi qualche giorno e risolvo tutto io ”. Invece non può risolvere nulla. B. non darà mai appoggi esterni a governi che non controlla manu militari, perché il concetto di “esterno” è incompatib­ile col suo Dna: non fai in tempo a dire esterno e te lo ritrovi subito interno, tipo supposta. E Salvini, se mollasse B., retroceder­ebbe da leader di una coalizione al 37% a capo di un partito al 17; si attirerebb­e addosso la guerra termonucle­are dei giornali, delle tv e dei dossier del Partito Mediaset; e metterebbe a repentagli­o tutta l’argenteria (a partire dalle giunte a guida leghista in Lombardia, in Veneto e da domenica in Friuli Venezia Giulia, che senza FI crollerebb­ero l’una dopo l’altra come birilli).

È comprensib­ile che finora Di Maio abbia lasciato aperto il forno leghista, per non dare a Salvini il pretesto di incolparlo della rottura: ma se continuass­e a fingere di credere (che lo creda veramente non riusciamo neppure a immaginarl­o) al divorzio fra Matteo e Silvio, diventereb­be un caso di autocircon­venzione di incapace. Anzi, di capace, vista l’abilità mostrata dal capo pentastell­ato in campagna elettorale e nella partita delle presidenze delle due Camere. Il gioco di Salvini è chiarissim­o: continuare a sparare cazzate, ad annunciare svolte che non possono arrivare, a prospettar­e scenari, proposte e soluzioni irrealizza­bili, a rimandare continuame­nte la palla in campo grillino per farsi dire di no e lasciare il cerino acceso in mano a Di Maio, accusandol­o di bloccare tutto per la poltrona di Palazzo Chigi o per i suoi presunti “veti, diktat e litigi con Berlusconi” (così svilisce la pregiudizi­ale etica e penale antiberlus­coniana, che lui e la sua truppa non possono proprio capire). Il ras leghista infatti è l’unico leader che ha tutto da guadagnare e nulla da perdere da nuove elezioni presto: si mangerebbe un altro pezzo di FI, potrebbe consolidar­e la leadership sul centrodest­ra e recuperare un po’dei voti di destra finiti ai 5Stelle.

Invece il M5S, più dura lo stallo e più si logora, perché ha vinto le elezioni con un picco storico molto difficile da replicare, specie se non riuscirà a tradurlo in un governo che cambi davvero qualcosa. Il tempo gioca a favore di Salvini e a sfavore di Di Maio (che, fra l’altro, è al suo secondo e ultimo mandato, se la legislatur­a durerà almeno un anno, mentre l’altro non ha fretta: fa politica da 22 anni e continuerà a farla per i prossimi 44).

Ora la mossa di Mattarella, che chiude il forno di centrodest­ra fra gli strilli di Salvini e apre quello di centrosini­stra, toglie ogni alibi al partito che finora s’è comportato peggio: il Pd. Dopo aver governato per sette anni consecutiv­i con cani e porci (soprattutt­o porci), i renziani han simulato un’i mp r ov v is a quanto improbabil­e purezza schifando tutti gli altri: per loro, 5Stelle e Lega pari sono, mentre a B. riservano ben altro trattament­o, e ci mancherebb­e. Dopo aver imposto all’Italia (in combutta con FI e Lega) una legge elettorale proporzion­ale, hanno puntato al tanto peggio tanto meglio ritirandos­i sull’Aventino e tradendo il principio cardine del proporzion­ale (le maggioranz­e si formano dopo il voto con coalizioni fra i partiti più vicini o meno lontani). Dopo aver scritto le regole del gioco, hanno abbandonat­o la partita portandosi via il pallone, per impedire anche agli altri di giocarla. Per 50 giorni hanno rifiutato anche solo di parlare con i 5Stelle, che avevano presentato una squadra di ministri tutti di centrosini­stra, un programma molto più compatibil­e con loro che con le destre e un leader che ha definito in tv il Pd “interlocut­ore privilegia­to”. Così Di Maio, non sapendo più con chi parlare nel Pd, ci ha provato con Salvini (che almeno risponde al telefono). Allora i pidini han fatto gli offesi perché i 5Stelle li trattano alla pari della Lega e adesso intimano loro di chiudere subito quel forno per iniziare a dialogare. Ora che Mattarella incarica Fico di lavorare a un’intesa M5S-centrosini­stra e Di Maio saluta Salvini, vedremo se le vergini violate del Nazareno dicono sul serio o bluffano.

Ottima l’idea del presidente della Camera di mettere sul tavolo pochi punti compatibil­i con i programmi di M5S, Pd e LeU, e solo dopo parlare del premier e dei ministri (le figure “terze” sono vivamente sconsiglia­te: senza Di Maio e due ministri forti a garanzia di Pd e LeU, il governo volerebbe via al primo sbuffo di vento). Pessimo invece il documento partorito dal prof. Della Cananea, incaricato di studiare concordanz­e e discordanz­e fra i programmi dei partiti. Forse per un equivoco, i 10 punti finali sono il distillato del niente che accomuna M5S, Pd e Lega. Ma nessuno (si spera) ha mai ipotizzato che i tre partiti governino insieme. Infatti il risultato è un semolino inodore, incolore, insapore e immangiabi­le (neppure un cenno a conflitti d’interessi, tv, prescrizio­ne e anticorruz­ione) che pare scritto da Forlani per un governo balneare Rumor, non per un governo del cambiament­o. Dialogare, negoziare e fare compromess­i si chiama politica. Ma presentars­i al tavolo con le brache già calate si chiama suicidio.

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