Le accuse, i silenzi e le mancate nomine: così il Csm ostacolò i pm di Palermo
La polemica innescata da Di Matteo dopo la sentenza di Palermo
Francesco Minisci, presidente dell’Anm, replica al pm Nino Di Matteo che domenica aveva detto di non essere stato difeso dagli attacchi né dall’Anm né dal Csm: “L’Anm ha sempre difeso l’autonomia e l’indipendenza dei magistrati. Lo ha fatto a favore dei colleghi di Palermo e continuerà a farlo”. Il Csm fa sapere che non replicherà. Le accuse di essere “eversivi”, di “perseguire fini politici”, ricordate dal pm dopo la sentenza, sono fioccate con il conflitto sollevato davanti alla Corte costituzionale, nel luglio 2012, da Giorgio Napolitano, che riuscì, fatto senza precedenti, a far distruggere le conversazioni con l’ex ministro Nicola Mancino, intercettato da Palermo. Gli attacchi di politici, ma anche di magistrati, non si contano. Basti ricorda- re il siluro di Giovanni Canzio, allora presidente della Corte d’Appello di Milano all’inaugurazione dell’anno giudiziario.
Di Matteo finì sotto procedimento disciplinare, su segnalazione del Quiri- nale, per un’intervista a Repubblica in cui avrebbe rivelato l’esistenza di quelle intercettazioni, di cui in realtà aveva già scritto Panorama. Con lui, sotto procedimento anche l’ex procuratore Francesco Messineo, per non aver vigilato sul pm. Nel 2014 il proscioglimento. Messi neo ha rischiato anche il trasferimento per incompatibilità ambientale. E uno dei procedimenti disciplinari a carico di Antonio Ingroia, quando indagava sulla Tratta- tiva, si aprì perché aveva definito “bizzarra” e fuori dalle regole la decisione della Consulta a favore di Napolitano: fu incolpato di “vilipendio alla Corte costituzionale”.
Dopo che la Corte aveva accolto il ricorso di Napolitano, Di Matteo e il procuratore aggiunto Vittorio Teresi si dimisero dai vertici dell’Anm palermitana, ritenendo che il sindacato delle toghe dovesse intervenire a loro difesa per essere stati accusati di aver violato la Costituzione.
C’è poi la tormentata vicenda di Nino Di Matteo e la nomina a sostituto della Dna. Nonostante titoli e anzianità superiori ad altri candidati, il Csm la prima volta l’ha bocciato a maggioranza, la seconda non ha neppure vagliato la sua posizione per supposti motivi burocratici, la terza volta l’ha nominato all’unanimità. In mezzo, la proposta di trasferimento a Roma per motivi di sicurezza. Ma Di Matteo rifiutò perché, disse, “non voglio che il mio trasferimento venga visto come una resa alla mafia” e perché voleva arrivare alla Dna dopo con un regolare concorso.