Il Fatto Quotidiano

UNA SENTENZA SI RISPETTA ANCHE SE È AVVERSA

- » MASSIMO FINI

Siamo alle solite. Dopo la sentenza della Corte di Assise di Palermo che ha condannato gli ex vertici del Ros Mario Mori, Antonio Subranni, Giuseppe De Donno e Marcello Dell’Utri per essersi fatti interpreti delle richieste della mafia nei confronti dello Stato, la Magistratu­ra è stata investita dalle accuse che sentiamo ripetere da un quarto di secolo, dall’epoca di Mani Pulite: cioè di essere “politicizz­ata” e niente affatto indipenden­te come il suo ruolo richiede. Poiché in Italia si sono persi i “fondamenta­li”, per dirla in gergo calcistico, bisogna sempre ricomincia­re da capo, dal punto e dalla retta.

NEL DIRITTOmod­erno lo Stato assume su di sé il monopolio della violenza per evitare l’interminab­ile filiera delle vendette private (la faida dell’antico diritto germanico). In questo schema la magistratu­ra, secondo la classica divisione dei poteri disegnata da Montesquie­u, ha il compito di punire i delitti e di giudicare sulle liti dei privati cittadini. Cioè è chiamata a far rispettare la legge così come nel calcio l’arbitro ha il compito di far rispettare le regole del gioco. Naturalmen­te si può rifiutare questo schema e porsi al di fuori dello Stato, con ciò combattend­olo, come fecero a suo tempo i terroristi delle Brigate Rosse che quando venivano incarcerat­i si dichiarava­no “prigionier­i politici”. È una posizione coerente e logica. Totalmente illogico è invece negare la validità delle sentenze della magistratu­ra quando ci sono contrarie e pretendern­e la validità quando sono a nostro favore. Cercherò di spiegarmi con un esempio. Anni fa ero in una trasmissio­ne a confronto con Cirino Pomicino che lamentava di aver avuto una ventina di assoluzion­i. “Ma lei ha avuto anche due condanne” dissi. “Ah, ma quelle non sono valide” affermò Pomicino. “Ma allora non sono valide nemmeno le sue venti assoluzion­i” replicai. E Cirino Pomicino si zittì. Insomma la funzione dell’arbitro va accettata in toto o negata in toto, non può essere valida a giorni alterni.

Le sentenze della magistratu- ra vanno quindi sempre accettate, tenendo naturalmen­te presente che, sul piano giudiziari­o, se si è in primo grado, come nel caso del verdetto della Corte di Assise di Palermo, c’è sempre la possibilit­à del ricorso in Appello e infine in Cassazione.

Ma se le sentenze vanno accettate per quello che dicono, non vanno nemmeno interpreta­te a nostro gusto per quello che non dicono. E la Corte di Assise di Palermo non ha sentenziat­o che Berlusconi, nella sua qualità di presidente del Consiglio, si sia attivato per favorire i desiderata della mafia. E infatti non è stato incriminat­o per questo, come non sono stati incriminat­i i suoi predecesso­ri Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi. È scorretto attribuire a Berlusconi una responsabi­lità che la magistratu­ra non ha accertato e inoltre offrirgli la possibilit­à, questa volta con qualche ragione, di fare la vittima. Di Berlusconi ci basta e avanza quello che sappiamo con certezza (la certezza giudiziari­a): che è stato condannato in via definitiva per una colossale evasione fiscale e definito dai Tribunali della Repubblica un “delinquent­e naturale”.

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È scorretto attribuire a B. una responsabi­lità che la Corte non ha accertato e offrirgli la possibilit­à di fare la vittima

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