Il Fatto Quotidiano

“Avevo torto” e il premier se ne va

Il primo ministro cede alla protesta e riabilita l’opposizion­e

- » MICHELA A.G. IACCARINO

del 13 novembre, Abdeslam, ancora in vita perché sembra che la sua cintura da kamikaze imbottita di esplosivi non abbia funzionato, era riuscito a superare i controlli della polizia e a raggiunger­e il Belgio in automobile.

Il 15 marzo 2016, durante la sua lunga latitanza a Bruxelles, le forze d’élite della polizia belga lo sorpresero nel suo covo della rue du Dries, nel quartiere di Forest, insieme con due complici.

NE ERA SEGUITO uno scontro a fuoco in cui 4 agenti rimasero feriti. Abdeslam e Sofiane Ayari, jihadista tunisino di 24 anni, riuscirono a fuggire. L’altro, Mohamed Belkaid, algerino di 35 anni, fu colpito a morte mentre col fucile in mano copriva la fuga degli altri due attraverso i tetti.

Abdeslam fu arrestato tre giorni dopo, il 18 marzo, in un appartamen­to poco lontano, a Molenbeek, il quartiere popolare dove l’estremista islamico aveva avuto un passato da delinquent­e ordinario, prima di radicalizz­arsi.

L’arresto del jihadista fece precipitar­e gli eventi in Belgio e il 22 marzo un nuovo attentato kamikaze colpì l’aeroporto di Bruxelles, fa- cendo 32 vittime. Da allora Salah Abdeslam è detenuto in una cella di isolamento nel carcere di Fleury-Mérogis, nella regione di Parigi, e stando al suo avvocato, Sven Mary, è lì che dovrebbe restare anche dopo la condanna del tribunale belga.

MARY SI RISERVA inoltre la possibilit­à di ricorrere in appello. Abdeslam si è trincerato nel silenzio sin dal suo arresto, anzi, la sua ra- Sventolano

i tricolori armeni. È il giorno delle bandiere a Erevan. Il primo ministro Sargysian si è dimesso. La “rivoluzion­e di velluto” ha vinto ma non si ferma. L’Ar me ni a non è andata a dormire ieri notte: la primavera è arrivata, piazza della Repubblica è piena, il Caucaso del sud è in festa.

Gli urlavano “Serzh, vattene!” e lui, prima presidente per dieci anni, poi primo ministro dopo una riforma costituzio­nale ad personam per mantenere il potere – a pprovata con un referendum nel 2015 – si è fatto da parte. “Nikol Pashinyan ha ragione, io torto”: con queste parole ha rassegnato le dimissioni l’ormai ex premier Serzh Sargsyan, in cima alla piramide del potere da quando la Repubblica era ancora sovietic a . I n P a r l amento alle spalle aveva il partito repubblica­no e quasi nessun avversario. L’oppo sizione reale era per le strade. “Questa crisi richiede soluzioni, ma io non ne prenderò nessuna, lascio la carica”; l’aveva ottenuta lo scorso 9 aprile. Da allora le proteste degli armeni sono andate avanti, contro la corruzione, la cattiva gestione dell'economia, l’abuso di potere del premier, per dieci giorni di fila. All’undicesimo la voce della piazza è diventata più alta di quella dell’uomo più potente del paese. Il leader dell’opposizion­e, Nikol Pashinyan fino a ieri contava le sbarre della cella in cui era stato rinchiuso domenica scorsa.

OGGI È IL VOLTO della “rivoluzion­e di velluto”, da lui stesso annunciata pochi giorni fa. Dopo un dibattito in tv con il premier durato solo tre minuti, era finito in prigione per aver commesso “atti pericolosi contro la società”. Di fronte al primo ministro c’era un uomo in maglia mimetica, la mano rotta avvolta nelle bende bianche, un cappellino nero. Un uomo alle cui spalle però c’era la piazza, che ha occupato tutte le strade della città quando è stato ammanettat­o.

Dalle lacrime per i gas sparati per disperdere i manifestan­ti, a quelle di gioia. Centinaia di soldati che dovevano reprimere la protesta si sono uniti alla folla. Gli scudi che dovevano levarsi per fermare il popolo in marcia verso il Parlamento alla fine si sono abbassati. Insieme ai soldati, i preti. Poi vecchi e giovani. L’Armenia si è riunita quando Serzh ha augurato “pace ed armonia” al paese, ha chiuso la porta della politica e se n'è andato, dice, per sempre.

Quando si fa buio a Erevan i led degli smartphone nei pugni chiusi illuminano la notte, fuochi d’artificio brillano sulle teste di chi non vuole più tornare a casa.

È una disobbedie­nza civile che urla incredula di felicità da nord a sud, in una nazione di tre milioni di persone, dove le piazze delle più grandi città adesso sono piene. Si alternano membri dell’opposizion­e sul palco della Capitale, che presto rimarrà vuoto, come l’incarico di primo ministro.

Futuro incerto Alla rivoluzion­e di velluto si sono uniti anche preti e soldati, gli stessi che dovevano reprimerla

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Afp Sarkisian e la protesta di piazza
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