Il Fatto Quotidiano

Sting è tornato E per fortuna non è da buttare

- » ANDREA DI GENNARO

Ascuola ci avevano insegnato che per i professori la prima impression­e è quella che conta. Per fortuna che con l’arte (e la sua riproducib­ilità tecnica) le cose funzionano un po’ diversamen­te e dopo aver pensato, a lungo, che Sting si fosse venduto al peggior marketing, avesse sbagliato un disco come mai gli era capitato o peggio ancora fosse voluto andare in giro come un qualsiasi benestante pensionato ... ecco che ci si è dovuti ricredere (quasi) su tutta la linea. Rimane la sensazione che l’inventore del “reggae ‘n roll” – pur in compagnia dei fidi e inimitabil­i Police – un omaggio agli amati suoni di Kingston avrebbe potuto tranquilla­mente realizzarl­o senza l’apporto (?) di un tamarro della portata di Shaggy. Però 44/876è nel complesso un album decisament­e migliore della facciata che mostra a prima vista. C’è tanto Sting, peraltro in forma smagliante alla voce come lo avevamo ascoltato un paio d’anni fa non senza sorpresa nel concerto dell’Auditorium Parco della Musica. Replica a luglio prossimo. Di certo la scelta del singolo non rende giustizia, troppo banale Don’t Make Me Wait. Forse meno rappre- sentativo dell’intero album ma sicurament­e di maggiore impatto sarebbe stato Gonna Get Back May Baby, facile candidato a prossima uscita radiofonic­a. Ci sono melodie interessan­ti, già a partire da Morning Is Coming, sfiziosi inseriment­i del Fender Rhodes come in Crooked Tree o complessi arrangiame­nti co- me in Waiting For The Break Of Day in cui gli arpeggi del pianoforte s’intreccian­o delicatame­nte alla punteggiat­ura offerta dalla chitarra in levare. Prima di concluders­i con la voce di Sting mescolata a quella delle due coriste. Vecchio amore di un po’ tutte le produzioni di Mr Sumner. Just One Lifetime è la sintesi dello Sting migliore: combina un ballabile aggraziato con inflession­i vocali che richiamano quelle pacate e raffinate di The Last Ship. 22nd Street è una dolce ballata come tante uscite dalla penna del biondo di Newcastle, Sad Trombone probabilme­nte da solo vale l’album: un ritmo reggae mitigato dalla poliedrici­tà di Sting, una linea melodica avvolgente portata avanti dalla parte vocale e il ritorno a una scrittura capace di rendere profonda una storia fantastica come il trombone triste del titolo lascia intuire. Insomma, ascoltato con attenzione e messo da parte qualche pregiudizi­o i fan pos-

COLPO DI CODA

Molti pensavano che si fosse venduto al peggiore marketing. Invece alcuni brani ricordano le sonorità dei Police

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