Sting è tornato E per fortuna non è da buttare
Ascuola ci avevano insegnato che per i professori la prima impressione è quella che conta. Per fortuna che con l’arte (e la sua riproducibilità tecnica) le cose funzionano un po’ diversamente e dopo aver pensato, a lungo, che Sting si fosse venduto al peggior marketing, avesse sbagliato un disco come mai gli era capitato o peggio ancora fosse voluto andare in giro come un qualsiasi benestante pensionato ... ecco che ci si è dovuti ricredere (quasi) su tutta la linea. Rimane la sensazione che l’inventore del “reggae ‘n roll” – pur in compagnia dei fidi e inimitabili Police – un omaggio agli amati suoni di Kingston avrebbe potuto tranquillamente realizzarlo senza l’apporto (?) di un tamarro della portata di Shaggy. Però 44/876è nel complesso un album decisamente migliore della facciata che mostra a prima vista. C’è tanto Sting, peraltro in forma smagliante alla voce come lo avevamo ascoltato un paio d’anni fa non senza sorpresa nel concerto dell’Auditorium Parco della Musica. Replica a luglio prossimo. Di certo la scelta del singolo non rende giustizia, troppo banale Don’t Make Me Wait. Forse meno rappre- sentativo dell’intero album ma sicuramente di maggiore impatto sarebbe stato Gonna Get Back May Baby, facile candidato a prossima uscita radiofonica. Ci sono melodie interessanti, già a partire da Morning Is Coming, sfiziosi inserimenti del Fender Rhodes come in Crooked Tree o complessi arrangiamenti co- me in Waiting For The Break Of Day in cui gli arpeggi del pianoforte s’intrecciano delicatamente alla punteggiatura offerta dalla chitarra in levare. Prima di concludersi con la voce di Sting mescolata a quella delle due coriste. Vecchio amore di un po’ tutte le produzioni di Mr Sumner. Just One Lifetime è la sintesi dello Sting migliore: combina un ballabile aggraziato con inflessioni vocali che richiamano quelle pacate e raffinate di The Last Ship. 22nd Street è una dolce ballata come tante uscite dalla penna del biondo di Newcastle, Sad Trombone probabilmente da solo vale l’album: un ritmo reggae mitigato dalla poliedricità di Sting, una linea melodica avvolgente portata avanti dalla parte vocale e il ritorno a una scrittura capace di rendere profonda una storia fantastica come il trombone triste del titolo lascia intuire. Insomma, ascoltato con attenzione e messo da parte qualche pregiudizio i fan pos-
COLPO DI CODA
Molti pensavano che si fosse venduto al peggiore marketing. Invece alcuni brani ricordano le sonorità dei Police