Il Fatto Quotidiano

Loro, Lui e noi

- » MARCO TRAVAGLIO

“Dura la vita quando non sai fare un cazz o”. Dovendo scegliere una frase cult dal film di Paolo Sorrentino Loro-1, non c’è nulla di meglio di questa confession­e dell’Ape Regina, al secolo Sabina Began (la sontuosa Kasia Smutniak), che guida il pappone pugliese tutto squillo&coca Gianpi Tarantini (un super Riccardo Scamarcio) nella scalata al potere romano, gradino dopo gradino, su su fino a “Lui”. È la parabola di tutto un mondo di uomini e donne senza talento che si arrabattan­o come possono, mercifican­do quel poco che hanno per imboccare ciascuno la propria scorciatoi­a al successo. Lui li vuole tutti così perché nessuno gli dia ombra: ministri, collaborat­ori, consiglier­i, reggipalle, prosseneti, escort. Nessun pensiero originale, nessun merito da vantare se non quello di servirlo fedelmente per prendere al volo i bocconi che cadono dalla mensa del ricco epulone, del sultano, del Re Sola. È l’ascensore sociale all’italiana, azionato non dall’is tru zion e, dall’intelligen­za, dalla creatività, dal lavoro e dal sudore: ma dai carburanti delle conoscenze giuste, dei ricatti e dei colpi di culo e dai lubrifican­ti delle mazzette, della polvere bianca, del fica-power e dell’adulazione.

L’orgia eccessiva e ossessiva a base di soldi-sesso-coca ricorda The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese con Leonardo DiCaprio, ma senza nulla della vitalità, del giovanilis­mo e della genialità dei rampanti turbocapit­alisti made in Usa. Qui, attorno a The Pig of Villa Certosa reinventat­o da Toni Servillo nella sua ultima reincarnaz­ione volutament­e compiaciut­a e caricatura­le, è tutto noia, vecchiaia, decadenza, viale del tramonto. È l’estate 2006 e Lui ha 70 anni: perse le elezioni e il suo ultimo passatempo di premier, si sente improvvisa­mente vecchio. La reggia di Porto Rotondo è gigantesca, sproporzio­nata alla statura dell’ometto di Stato che la abita da solo, cioè con la moglie Veronica, magistralm­ente resa da Elena Sofia Ricci, ormai al limite della sopportazi­one per quel viavai di minorenni (il fragoroso divorzio a mezzo stampa arriverà nella seconda parte, quando B. perderà tutt’e tre le donne di riferiment­o – madre, sorella e consorte – e impazzirà con la patetica e patologica supplenza delle 30-40 Papi-girl a botta). Lei legge Saramago che insulta il marito e, perfida, glielo fa notare. Lui, paradossal­mente solo e annoiato, non si capacita di aver perso il potere e il tocco magico. E si frustra perché l’opposizion­e non fa per lui. I bunga bunga sono ancora dietro l’angolo, le Began, i Tarantini e i Mora (il bravo Roberto De Francesco col riporto) stanno per arrivare.

Non sapendo come reinventar­si, inscena tragicomic­he gag che non divertono nemmeno lui. Come quando si traveste da odalisca per simulare un improbabil­e ritorno di fiamma nuziale ( una delle tante scene realmente accadute, che nemmeno il genio di Sorrentino riuscirebb­e a inventare) e Veronica lo fredda con un impietoso: “Non mi fai ridere”. O quando Toni-Silvio si produce nel triplo salto carpiato dell’at to re napoletano che canta Ma lafemmenac­ome un milanese che tenta di imitare l’accento napoletano. L’unica soluzione al tedio è l’eterna, disperata fuga dalla realtà. Come quando Lui pesta una cacca, ma spiega al nipotino che, siccome l’ha pestata lui, quella non è cacca: è una pallina di terra. “Non conta la realtà, ma il modo di raccontarl­a”.

Se il cinema è un cocktail psichedeli­co di divertimen­to e impegno, di racconto e immagini, di intuizioni ed emozioni, che fa godere tutti i sensi nel continuo inseguimen­to tra realtà e fantasia e se ne frega delle convenzion­i, delle convenienz­e, delle aspettativ­e, del politicame­nte e anche del cinematogr­aficamente corretto, allora Loroè un gran film. Che diverte subito, mentre scorre sullo schermo. E ancor più alla fine, quando tenti di dare un’identità ai tanti personaggi anfibi e ibridi che assommano almeno tre o quattro figure reali. O quando si pensa che le scene sono tanto più vere quanto più appaiono esagerate. Infatti molte – quelle che hanno subito fatto storcere il nasino ai critici – sembrano videoclip girati con lo smartphone e postati su Youtube da un qualche insider indiscreto.

I ragazzi dello zoo di Silvio, popolato anche di rinoceront­i, dromedari, aragoste, caprette e pantegane (a Roma si chiamano “zoccole”, pensa un po’), sono nani e ballerine quasi sempre fuori di testa per qualche donnina, o ricatto, o complotto, o sostanza (memorabili gli effetti dell’Mdma, “la droga dell’abbraccio e dello smandibol ament o”). C’è il ministro-cortigiano simil-Bondi, un sorprenden­te Bentivogli­o pelato che scioglie in rima le lodi a Lui e intanto tenta di fargli le scarpe, fino a cedere ai piaceri della carne e a restare impigliato nel ricatto della tentatrice (l’eccellente Euridice Axel) e di uno dei personaggi più misteriosi della corte dei miracoli e dei miracolati: l’in qui et an te truccatore-assistente tuttofare (Dario Cantarelli, sempre più sulfureo), che si presenta come “il biografo, quello che ora sta scrivendo la tua biografia”. Una sorta di addetto ai dossier&veleni. E poi c’è “Dio”, il misterioso Grande Vecchio che non si mostra mai col suo volto e la sua identità, e si permette il lusso di stare sopra di Lui. Un Circo Barnum sempre in bilico tra farsa e tragedia, proprio come la biografia del protagonis­ta, in un montaggio stroboscop­ico alla Blob che accosta la grottesca collezione di tacchi col rialzo al terrifican­te rottweiler pronto a sbranare il ministro traditore. In fondo è così che, in 25 anni di mitridatiz­zazione, la Grande Anomalia è diventata Banale Normalità. Chi vede Loroe guarda Lui riconosce anche Noi. Non in sala, ma sullo schermo. Nascosti da qualche parte. Di spalle.

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