Pif: “Il silenzio sulla sentenza, mafia rimossa”
Pif “In guerra si tratta col nemico? Lo dicessero ai familiari delle vittime: mentre Borsellino cercava gli assassini di Falcone, altri ci parlavano”
Arturo, bisogna sapere, viene concepito a Palermo il giorno della strage di Viale Lazio e battezzato mentre Vito Ciancimino diventa sindaco. La sua prima parola, pronunciata di fronte a due sbigottiti genitori, inizia per “m” ma non è mamma: è mafia. Lui è il protagonista de La mafia uccide solo d’estate – il premiato film firmato da Pif, a cui s’ispira anche una fortunata serie televisiva (dove il protagonista si chiama però Salvatore) che stasera debutta su RaiUno, per sei puntate, con la seconda stagione. E ci fa tornare indietro di quarant’anni, quando ancora quella parola, mafia, era un tabù. Eppure sono moltissimi i cortocircuiti che legano un passato che non passa all’attualità. Nel giorno della Liberazione abbiamo incontrato Pif, che della serie è ideatore e voce narrante, poco prima dell’inizio del corteo milanese dell’Anpi.
Ha ancora senso raccontare la storia di quella mafia?
Mentre andavo alla conferenza stampa di presentazione della serie, mi chiedevo proprio se non fosse il momento di voltare pagina. Poi ho realizzato che non ci siamo mai fatti davvero un esame di coscienza su quel pezzo della nostra storia. I protagonisti della serie sono tutti colpevoli, perché tutti scendono in qualche modo a compromessi, chi in buona fede e chi no. È lo stesso atteggiamento che abbiamo avuto noi italiani, e in particolare noi siciliani, incapaci come siamo stati di fare autocritica. La stessa rimozione è avvenuta con il fascismo: tutta colpa di Hitler, il vero cattivo, al massimo di Mussolini e del re. Non ne usciremo finché non faremo un salto di qualità morale, passando da cosa nostra a colpa (anche) nostra. E comunque, le cronache giudiziarie di questi ultimi giorni ci dicono che dobbiamo fare i conti con il passato e proprio con quella mafia.
Si aspettava una sentenza di condanna nel processo sulla trattativa Stato-mafia? Onestamente no: è molto difficile che lo Stato riesca a processare se stesso. Dobbiamo aspettare di leggere le motivazioni, ma è chiaro che si pone una gigantesca domanda: trattando con i padrini, i carabinieri agivano per conto di qualcuno? Possibile che abbiano fatto di testa loro?
Nino Di Matteo ha detto che si augura un pentito delle istituzioni.
È un paradosso che fa molto riflettere perché riferisce un termine che si usa per i criminali alle istituzioni.
La sentenza ha avuto u n’eco molto limitata rispetto alla sua portata storica. Perché secondo lei?
Le emozioni hanno dinamiche strane. Le stesse persone che ignorano questa sentenza poi si commuovono il 19 luglio ricordando Paolo Borsellino. È chiaramente una contraddizione perché questa sentenza restituisce un altro, devastante, pezzo di verità sulla strage di via D’Amelio.
È stato detto: quando è in corso una guerra, si tratta col nemico. Lo dicessero davanti ai familiari delle vittime di mafia... Mentre Borsellino cercava gli assassini di Giovanni Falcone, mentre provava a parlare con i magistrati che indagavano per raccontare quello che poteva e sapeva, un altro pezzo dello Stato dialogava con i killer di Falcone e quelli che sarebbero stati i suoi killer. È agghiacciante.
La sentenza sulla trattativa sta avendo la stessa sorte di quella su Andreotti?
La sentenza Andreotti è un test interessante. Se tu spieghi a un cittadino non particolarmente impegnato o informato che i giudici hanno riconosciuto il suo legame con la mafia fino al 1980, quello rimane sbalordito. Si fa fatica a credere a una cosa tanto spaventosa, anche se una sentenza lo ha messo nero su bianco. Eppure...
Uno dei personaggi, in questa seconda stagione della serie, incrocia Piersanti Mattarella. Mattarella, da presidente della Regione, in quel momento stava facendo cose davvero rivoluzionarie in Sicilia, come rendere più trasparenti le procedure di assegnazione degli appalti pubblici. Io sono ferma- mente convinto che l’omicidio Mattarella, dove credo ci sia stata una saldatura tra la mafia e l’eversione nera, sia una delle chiavi di volta della storia del nostro Dopoguerra: se sapessimo la verità su quell’episodio, capiremmo molte altre cose. A proposito di Mattarella, come pensa andrà a finire la vicenda della formazione del governo?
Forse il presidente ha visto il mio video in cui chiedevo al Pd di aprire al dialogo con i 5 Stelle: da “ce lo chiede l’E ur o pa ” a “ce lo chiede Pif”... Tornando seri, non credo che per il Partito democratico sia un obbligo fare il governo o dare un appoggio al Movimento 5 Stelle. Però credo che – vista la non rosea situazione del Paese – sia un dovere provare a confrontarsi seriamente. Io però, fossi del Pd, metterei una condizione: lo streaming. Tanto per non lasciare impunito quell’incontro con Bersani, che fu una clamorosa dimostrazione di immaturità politica da parte dei grillini. Venendo all’oggi, c’è una diffusissima sofferenza sociale, non è questo il momento di ritirarsi sull’Aventino. Almeno ci devono provare, dopodiché il dialogo può fallire. Ma non si può predicare il “tanto meglio tanto peggio” sulla pelle degli italiani.
Le stesse persone che si commuovono per via D’Amelio ignorano i magistrati di Palermo: le emozioni sono strane e contraddittorie Il Pd non può stare sull’Aventino, scegliere il ‘tanto peggio tanto meglio’: parli col M5S, poi magari il governo non si fa lo stesso...