Pd, Martina apre ai 5 Stelle e subito i renziani lo linciano
Oggi Fico rivedrà Dem e Movimento e poi riferirà al Colle
■ L’ultima arma in mano a chi vuole un governo è la minaccia del voto in autunno. Ma i due partiti che assieme hanno la maggioranza in Parlamento non paiono temere le urne. Possono però usare quel timore per convincere chi non ci sta
La prossima settimana saranno due mesi esatti dalle elezioni del 4 marzo e probabilmente ancora non ci sarà un’ipotesi concreta di governo. Oggi infatti il presidente della Camera farà il suo secondo giro con Pd e M5S e poi riferirà al capo dello Stato. E qualora dovesse esserci una traccia, un “innesco” di trattativa, il “dialogo” tra grillini e democratici sarà prolungato a dopo il primo maggio, in attesa della direzione del Nazareno. Un tempo dovuto, considerato che il Colle ha concesso quasi cinquanta giorni al forno tra pentastellati e leghisti.
In ogni caso il sentiero è strettissimo, per usare una metafora classica, e al Quirinale non si nasconde la preoccupazione se non l’ansia per il tentativo in corso. Dopo, infatti, c’è il serio rischio del voto anticipato in autunno, forse già alla fine dell’estate, a settembre, come riportato ieri da vari quotidiani. In pratica, la terza carta del Colle, archiviati i due schemi “esplorati” (Cinquestelle e Lega, Cinquestelle e Pd), potrebbe bruciarsi per le anomalie e le fragilità di questo stallo e che hanno dato vita già a un unicum della storia repubblicana: due mandati esplorativi consecutivi.
FIN QUI Mattarella ha ascoltato, valutato, riflettuto, atteso con pazienza, finanche perso la calma quando Salvini ha “adescato” per la seconda volta Di Maio – durante l’esplorazione della presidente del Senato – con il miraggio ( fake news?) del fatidico passo di lato di Berlusconi. Ma lo stallo fa fatica a partorire una trama positiva perché mette in fila una sequenza di posizioni in cui l’interesse di parte è anteposto a quello nazionale, in base a quella che è la prospettiva dell’arbitro di questa partita complessa e semplice allo stesso tempo.
La prima anomalia è che manca un eventuale baricentro su cui far “girare” la terza carta di un esecutivo di transizione che duri almeno un anno. Rispetto al 2013 è questa la prima grande differenza, come ha notato Alessandro De Angelis, vicedirettore della versione italiana dell’Huffington Post. Allora, Giorgio Napolitano contò sulla responsabilità del Pd bersaniano poi lettiano infine renziano. Adesso, invece, il primo partito non vincitore è il movimento grillino. Sinora Di Maio ha compiuto un’eccezionale torsione istituzionale ma l’altro giorno ha già indicato le colonne d’Ercole che non potrà superare: il sostegno a un governo (Cassese? Zampetti?) di transizione espressione del Quirinale.
Così Di Maio non solo si allinea di nuovo a Salvini, stavolta per chiedere le urne subito, ma tenta di puntellare la sua candidatura a premier in vista di un voto immediato. È questa la sua unica chance di rimanere capo, altrimenti l’incognita di un governo di transizione farebbe avanzare nuove leadership (si pensi a Fico o Di Battista) per la nuova tornata, senza dimenticare una scontata flessione elettorale provocata dalla “donazione di sangue” al senso di responsabilità.
La seconda anomalia è rappresentata dall’inedito centrodestra venuto fuori il 4 marzo, in cui per la prima volta (altro inedito) Silvio Berlusconi non è più il leader della coalizione.
Trattative e tatticismi li ha condotti Matteo Salvini che per il momento ha scelto di non sganciarsi da B., con l’obiettivo di annettersi Forza Italia e diventare il capo assoluto del centrodestra. È una strategia che ha mandato in frantumi un patto di legislatura con Di Maio e che dovrebbe continuare anche dopo le elezioni in Friuli Venezia Giulia, domenica prossima.
LA TERZA anomalia, infine, è il prosieguo dell’avventurismo isolazionista di Matteo Renzi, tuttora padrone del Pd nonostante due disfatte epocali (il referendum e le Politiche). Il fuoco di sbarramento degli ortodossi renziani alle aperture dell’altro Pd ai grillini colpisce per la sua velocità d’esecuzione, segno che non si tratta solo di una mossa tattica d’attesa. Certo, tutto è possibile ma è difficile tornare indietro quando si spara a zero. Tutto fa presupporre che il Pd non arriverà unito a un’intesa col M5S.
Descritto il quadro, quante possibilità ha un esecutivo di transizione voluto dal Colle e sostenuto solo dal Pd e da Forza Italia? Pochissime.
Ecco la cupa constatazione con cui il presidente della Repubblica (ieri in Abruzzo per la festa della Liberazione) ha già cominciato a misurarsi. Da arbitro della Costituzione, sa perfettamente che un governo tecnico di minoranza non arriverà mai al nuovo anno.
Le tre anomalie Manca un partito boa, il centrodestra a guida leghista e i dem ostaggi dei renziani