Il Fatto Quotidiano

Pd, Martina apre ai 5 Stelle e subito i renziani lo linciano

Oggi Fico rivedrà Dem e Movimento e poi riferirà al Colle

- » FABRIZIO D’ESPOSITO

■ L’ultima arma in mano a chi vuole un governo è la minaccia del voto in autunno. Ma i due partiti che assieme hanno la maggioranz­a in Parlamento non paiono temere le urne. Possono però usare quel timore per convincere chi non ci sta

La prossima settimana saranno due mesi esatti dalle elezioni del 4 marzo e probabilme­nte ancora non ci sarà un’ipotesi concreta di governo. Oggi infatti il presidente della Camera farà il suo secondo giro con Pd e M5S e poi riferirà al capo dello Stato. E qualora dovesse esserci una traccia, un “innesco” di trattativa, il “dialogo” tra grillini e democratic­i sarà prolungato a dopo il primo maggio, in attesa della direzione del Nazareno. Un tempo dovuto, considerat­o che il Colle ha concesso quasi cinquanta giorni al forno tra pentastell­ati e leghisti.

In ogni caso il sentiero è strettissi­mo, per usare una metafora classica, e al Quirinale non si nasconde la preoccupaz­ione se non l’ansia per il tentativo in corso. Dopo, infatti, c’è il serio rischio del voto anticipato in autunno, forse già alla fine dell’estate, a settembre, come riportato ieri da vari quotidiani. In pratica, la terza carta del Colle, archiviati i due schemi “esplorati” (Cinquestel­le e Lega, Cinquestel­le e Pd), potrebbe bruciarsi per le anomalie e le fragilità di questo stallo e che hanno dato vita già a un unicum della storia repubblica­na: due mandati esplorativ­i consecutiv­i.

FIN QUI Mattarella ha ascoltato, valutato, riflettuto, atteso con pazienza, finanche perso la calma quando Salvini ha “adescato” per la seconda volta Di Maio – durante l’esplorazio­ne della presidente del Senato – con il miraggio ( fake news?) del fatidico passo di lato di Berlusconi. Ma lo stallo fa fatica a partorire una trama positiva perché mette in fila una sequenza di posizioni in cui l’interesse di parte è anteposto a quello nazionale, in base a quella che è la prospettiv­a dell’arbitro di questa partita complessa e semplice allo stesso tempo.

La prima anomalia è che manca un eventuale baricentro su cui far “girare” la terza carta di un esecutivo di transizion­e che duri almeno un anno. Rispetto al 2013 è questa la prima grande differenza, come ha notato Alessandro De Angelis, vicedirett­ore della versione italiana dell’Huffington Post. Allora, Giorgio Napolitano contò sulla responsabi­lità del Pd bersaniano poi lettiano infine renziano. Adesso, invece, il primo partito non vincitore è il movimento grillino. Sinora Di Maio ha compiuto un’eccezional­e torsione istituzion­ale ma l’altro giorno ha già indicato le colonne d’Ercole che non potrà superare: il sostegno a un governo (Cassese? Zampetti?) di transizion­e espression­e del Quirinale.

Così Di Maio non solo si allinea di nuovo a Salvini, stavolta per chiedere le urne subito, ma tenta di puntellare la sua candidatur­a a premier in vista di un voto immediato. È questa la sua unica chance di rimanere capo, altrimenti l’incognita di un governo di transizion­e farebbe avanzare nuove leadership (si pensi a Fico o Di Battista) per la nuova tornata, senza dimenticar­e una scontata flessione elettorale provocata dalla “donazione di sangue” al senso di responsabi­lità.

La seconda anomalia è rappresent­ata dall’inedito centrodest­ra venuto fuori il 4 marzo, in cui per la prima volta (altro inedito) Silvio Berlusconi non è più il leader della coalizione.

Trattative e tatticismi li ha condotti Matteo Salvini che per il momento ha scelto di non sganciarsi da B., con l’obiettivo di annettersi Forza Italia e diventare il capo assoluto del centrodest­ra. È una strategia che ha mandato in frantumi un patto di legislatur­a con Di Maio e che dovrebbe continuare anche dopo le elezioni in Friuli Venezia Giulia, domenica prossima.

LA TERZA anomalia, infine, è il prosieguo dell’avventuris­mo isolazioni­sta di Matteo Renzi, tuttora padrone del Pd nonostante due disfatte epocali (il referendum e le Politiche). Il fuoco di sbarrament­o degli ortodossi renziani alle aperture dell’altro Pd ai grillini colpisce per la sua velocità d’esecuzione, segno che non si tratta solo di una mossa tattica d’attesa. Certo, tutto è possibile ma è difficile tornare indietro quando si spara a zero. Tutto fa presupporr­e che il Pd non arriverà unito a un’intesa col M5S.

Descritto il quadro, quante possibilit­à ha un esecutivo di transizion­e voluto dal Colle e sostenuto solo dal Pd e da Forza Italia? Pochissime.

Ecco la cupa constatazi­one con cui il presidente della Repubblica (ieri in Abruzzo per la festa della Liberazion­e) ha già cominciato a misurarsi. Da arbitro della Costituzio­ne, sa perfettame­nte che un governo tecnico di minoranza non arriverà mai al nuovo anno.

Le tre anomalie Manca un partito boa, il centrodest­ra a guida leghista e i dem ostaggi dei renziani

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LaPresse/Ansa Nulla di fatto Sergio Mattarella in Abruzzo e Matteo Renzi a Firenze per il 25 aprile. In basso, Luigi Di Maio
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