Renzi pensa a spaccare il Pd sul no ai Cinque Stelle
Oggi i democratici di nuovo dal presidente della Camera: l’accordo è lontano
Èl’anniversario della Festa della Liberazione, ma nel Pd più che altro è la vigilia dell’ennesima notte dei lunghi coltelli. Oggi la delegazione composta dai pasdaran renziani Andrea Marcucci e Matteo Orfini, dal reggente governista Maurizio Martina e dal semi-dialogante Graziano Delrio tornerà dal presidente della Camera, Roberto Fico, per ribadire – più o meno – quello che ha detto martedì. Ovvero, il Pd deve discutere all’interno della direzione se e come sedersi al tavolo della trattativa con il Movimento 5 Stelle. E nel frattempo “ascolterà” Fico.
Le posizioni restano distanti. Martina ha ribadito anche ieri l’importanza di andare a vedere le carte. “Le probabilità di andare al voto a ottobre non sono poche purtroppo, ma credo sia una prospettiva da evitare”. ha detto a Porta a Porta, raccontando di aver sentito Renzi e di avere con lui un rapporto di rispetto, pur nella diversità dei punti di vista. Poi però ha ribadito l’intenzione di impegnarsi per costruire un percorso politico coi 5 Stelle. Al che i renziani si sono ribellati in blocco. Per tutti, Alessia Morani: “Non dovevamo decidere in direzione?”.
L’EX PREMIER, viceversa, si è fatto una passeggiata in Piazza della Signoria a Firenze, in mattinata, solo per farsi intercettare mentre conduceva il suo personale sondaggio tra gli elettori dem: “Volete un governo con i Cinque Stelle?”. Coro di no e qualche sor- riso. “Ricevuto”, ha commentato lui. La sua posizione non cambia: nessun tavolo con i Cinque Stelle, nessun governo politico, nessuna trattativa. La direzione deve essere ancora convocata. Sarà probabilmente mercoledì, come ha voluto Lorenzo Guerini: serve tempo per trattare. Intanto nel Pd si fanno e si disfano strategie.
Prima di tutto, va notata la proposta di Antonello Giacomelli, sottosegretario: “Dovremmo chiedere a Matteo Renzi di ritirare le sue dimissioni e guidare tutto il partito in questo confronto”. La posizione di Giacomelli non è isolata. Il Giglio Magico appoggia, Renzi pare non sia disponibile. Per ora. Ma la proposta evidenzia ancora una volta un dato di fatto: non esiste più un Pd, ce ne sono almeno due. E se l’ex premier non è sufficientemente forte da riprenderselo, il partito, lo è abbastanza per mantenerlo congelato. Visto che gli altri non sono neanche riusciti a mantenere la data fissata per l’Assemblea (il 21 aprile) che avrebbe dovuto ufficializzare la fine dell’era Renzi, con l’elezione di un nuovo segretario o l’avvio del congresso.
Renzi, dimissionario o no, resta il segretario ombra. Ogni intesa di governo passa da lui. “Se la direzione dovesse dare il via a un governo con i Cinque Stelle, io per disciplina di partito lo voto. Ma poi, ci sono alcuni tra i miei che non lo faranno comunque, come alcuni tra i parla- mentari di Renzi”, ragionava Orfini. Tanto per mettere avanti le mani, prima della direzione. Perché comunque per un governo sono necessari tutti i parlamentari dem. Marcucci ha convocato l’assemblea dei senatori sempre per mercoledì e Renzi può ancora contare su circa la metà del gruppo. Se Orfini è tra gli intransigenti, sono contrari a sedersi al tavolo con il Movimento pure Marcucci e Maria Elena Boschi. Gli altri hanno ragionato in questi giorni su una base di trattativa da proporre al M5S. Magari con dei paletti inaccettabili. Il dossier è ancora nelle mani di Luca Lotti, ma allo stato la volontà di Renzi di chiudere la porta sembra ferma.
L’EX PREMIER continua a sperare nella nascita di un governo tra Lega e Cinque Stelle. D’altra parte, il dialogo, anche se sotterraneo, continua. Molti dirigenti dem sono convinti che l’apertura di Di Maio non serva ad altro che a spaccare il Pd definitivamente. Dice Carlo Calenda: “I contenuti dell’accordo variano a seconda dei forni. E dunque valgono 0. L’obiettivo è arrivare al governo comunque e con chiunque per poi fare quello che diranno Grillo e Casaleggio”. Se si arriverà a una conta in direzione, sarà un punto di non ritorno. E Martina sarà bruciato. L’ex premier è alla ricerca di vie di fuga. E mentre tesse una rete di relazioni internazionali in veste di lobbista (come ha fatto in Qatar) continua a accarezzare il progetto di un partito suo, da fare contendendo una parte dell’eredità di Berlusconi a Salvini. Difficile che questo progetto sia pronto per un voto a ottobre. Anche da qui i dubbi di chi gli sta intorno. Il giorno della Liberazione per il Pd non è ancora arrivato.
Vedo che le probabilità di andare al voto già a ottobre non sono poche purtroppo, ma credo sia una prospettiva da evitare MAURIZIO MARTINA