Il Fatto Quotidiano

Arte, i diritti vanno ai privati Ecco cosa prevede l’accordo

- » VIRGNIA DELLA SALA

Affidare il patrimonio fotografic­o dei musei italiani ad aziende private perché lo vendano per conto dello Stato, guadagnand­oci: è realtà dal 4 aprile, quando la direzione dei Musei del Mibact, il ministero dei Beni Culturali, ha siglato un accordo quadro con la società inglese Bridgeman Images. Un’intesa così vantaggios­a che anche l’azienda fiorentina Alinari ne ha fatto richiesta e che ha provocato molte polemiche. Ma cosa prevede e quali sono i limiti?

L’ACCORDO. Il Fatto ha potuto visionarlo. Dura 24 mesi e non è esclusivo. L’agenzia venderà la riproduzio­ne delle immagini oggi custodite nelle fototeche dei musei italiani per finalità a scopo di lucro: dalle riviste ai libri fino ai progetti espositivi e alle pubblicità. Il 50% (al netto dell’iva) del ricavato andrà al polo museale, con il quale l’azienda avrà già trovato un accordo di dettaglio. Potrà poi avvalersi di “soggetti terzi” e ogni riproduzio­ne dovrà indicare le specifiche dell’opera, l’autorizzaz­ione e il divieto di ulteriori riproduzio­ni. L’uso dovrà essere “compatibil­e con la destinazio­ne culturale e con il loro carattere artistico e storico”. Pena, la sospension­e dell’uso. Il ministero potrà poi “accedere ai locali” dell’azienda per “verificare i contratti stipulati”. Prevista anche una cauzione di garanzia: 30mila euro.

PROFITTO. Oggi, ogni riproduzio­ne di un’opera d’arte italiana richiede il pagamento di una quota al Ministero. Se un’azienda ha bisogno di una foto del David di Michelange­lo, lo fa immortalar­e dal suo fotografo e paga allo Stato solo il diritto di riproduzio­ne. L’ultimo accordo riguarda invece le immagini scattate e detenute dai musei stessi. “Un patrimonio difficile da piazzare”, spiega Antonio Tarasco, direttore del Servizio I (affari generali) del ministero. Il principio è che raramente da Tokyo ci si metterebbe in contatto con un ’ amministra­zione locale “oltretutto poco efficiente. Maggiore sarà il profitto delle aziende, poi, maggiore sarà il nostro ”. La non esclusivit­à permettere­bbe comunque ai musei di vendere le foto anche autonomame­nte e l’accordo potrà essere stipulato con altre aziende. Tanto che c’è già una richiesta ufficiale da parte della fiorentina Alinari.

LA NASCITA. Secondo il ministero, l’intesa non ha bisogno di un bando perché non esclusiva e sarebbe stata proposta dalla stessa Bridgeman. Il loro catalogo contiene immagini di 700 musei nel mondo, l’Italia fornirà quelle provenient­i da altri 439. La firma è arrivata a governo ormai dimesso: “Dopo le trattative, a gennaio abbiamo stilato l’accordo quadro, poi il 4 aprile c’è stata la firma su quello di maggior dettaglio”. Resta gratuito l’uso per la ricerca. “Il codice dei beni culturali del paesaggio - spiega Tarasco - impone il pagamento per la riproduzio­ne a scopo di lucro. Non si può rendere tutto libero. I soldi per il settore da qualche parte devono arrivare”.

LA METÀ PERDUTA.“Legenda vuole che il lavoro nel settore culturale latiti perché non ci sono soldi, ma poi vanno ad altri” dice Leonardo Bison, attivista della campagna ‘Mi Riconosci? Sono un Profession­ista dei Beni Culturali’. “Le immagini erano una fonte di sostentame­nto per musei e soprintend­enze: ora, il 50% dei ricavi va a un privato. Un atto incoerente e opaco”.

LIBERTÀ. Critico anche Tomaso Montanari, storico dell’arte e presidente di Libertà e Giustizia: “Un ministro dimissiona­rio non prende una decisione del genere. Non è tecnica, ma strategica, anche se l’ha presa il direttore generale. E poi, davvero serve mettere tut-

Ricavi dimezzati Il 50% alle aziende Montanari: “Più giusto diffonderl­e gratuitame­nte”

to a cassa? Non bisognereb­be investire sulla libertà totale come ha fatto la National Gallery di Londra?”. Montanari cita il primo comma dell’articolo 9 della Costituzio­ne, che prevede la promozione dello sviluppo della cultura: “Invece mi sembra d’essere di fronte all’ennesima abdicazion­e alla logica del mercato”. Poi c’è il nodo della società estera. “Pur volendo fare cassa, sembriamo una colonia in svendita. Anche senza esclusiva il mercato preferirà sempre un’azienda anglosasso­ne rispetto a un’italiana. Gli si dà un vantaggio enorme”.

FUNZIONALI­T À. La scusa è che il pubblico non può farcela da solo. “È il dogma del ministro Franceschi­ni, ed è sbagliato. La Francia ci riesce”, dice Montanari. Per lui, la Primavera di Botticelli dovrebbe essere riproducib­ile liberament­e. “Per l’editoria, almeno. O i libri costeranno ancora di più in un paese dove nessuno legge. Se poi pensiamo che servano solo i soldi, allora vendiamo direttamen­te i musei”.

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Ansa Botticelli ”La Nascita di Venere” è nella Galleria degli Uffizi di Firenze
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