L’eterno ribelle e l’oligarca L’Armenia sulle barricate
Pashinyan guida ancora una volta la protesta. Tsarukyan fa il volta-gabbana
La rivoluzione di velluto non è finita, spero che voi siate qui per la vittoria finale”. Il leader dell’opposizione Nikol Pashinyan non si è ancora tolto la maglia mimetica che ha indossato dal primo giorno delle proteste a Erevan, quando ha abbandonato giacca, cravatta, Parlamento e ha cominciato ad invitare il suo popolo ad occupare le strade. Pashinyan urla da quasi due settimane al megafono bianco, stesso colore delle bende sulla sua mano rotta durante le proteste. Gli armeni non sono tornati a casa, nemmeno quando il convitato di pietra d’epoca sovietica, Serzh Sargsyan, prima presidente per dieci anni, poi nuovo primo ministro, se n’è andato rassegnando le dimissioni, dopo solo 11 giorni di proteste. Piazza della Repubblica a Erevan non tornerà vuota se non quando il partito repubblicano tutto non avrà seguito l’esempio di Sargsyan.
PASHINYAN ha chiesto che il potere venga ora trasferito a un “primo ministro del popolo, con elezioni lampo, non permetteremo a questo sistema corrotto di esistere, rimanete in piazza, dobbiamo finire la rivoluzione di velluto”. È stato la testa d’ariete contro l’uomo più potente del paese. Quando lo ha accusato di manipolare la costituzione a suo favore per mantenere il potere, lo hanno messo in carcere. Poi da liberato, il rivoluzionario Pashinyan, è stato acclamato liberatore della nuova Armenia.
Il premier a interim Karen Karapetyan, ora al vertice di transi- zione, si dimetterà nei prossimi giorni. Ma quelli contro cui manifestano gli armeni, uomini chiave del vecchio sistema corrotto, adesso vogliono abbracciare la folla con le bandiere al vento. “Comprendo l’importanza del momento, mi unisco personalmente alle proteste”, ha detto Grach Rostomyan, ministro dello Sport, mem- bro del partito della Prosperità fondato da uno degli uomini più ricchi del paese, che ora vuole alzare i pugni col popolo della strada. Nella nazione dove uno su 5 è disoccupato, il 33% della popolazione è povero, 900mila su 3 milioni sono migrati per sopravvivere fuori dalla patria, ora l’oligarca che abita in una delle magioni più grandi della città, su una collina a nord di Erevan, si è unito a quella piazza che ne chiedeva la testa.
COLLO LARGO, spalle larghissime, occhiali, sei figli. Prima di fondare nel 2004 il “partito della prosperità armena”, in coalizione Sargsyan, Gagik Tsarukyan si è laureato all’Istituto dello sport, quel-
lo che i russi - e tutti i popoli eredi del comune passato sovietico -, chiamano fisikultura. È stato un boxer, un wrestler, un campione del mondo di braccio di ferro nel 1996. Nel 1997 è diventato imprenditore e oggi possiede 30 aziende che producono quasi tutto nel paese, dai farmaci alla vodka.
Nell’anno del 50esimo anniversario della vecchia rivoluzione di velluto, la nuova primavera di Praga è a Erevan. Intanto i mezzi corazzati della polizia sono arrivati al centro della Capitale, “la polizia farà di tutto per mantenere l'ordine” riferiscono dal comando, ma l’Armenia nemmeno oggi va a dormire. Ieri era una manifestazione non autoriz-
zata, oggi una rivoluzione, domani non si sa.
Il paese è sempre stato nell’orbita del Cremlino, ospita due enormi basi militari russe, è rimasto, come chiamano negli Usa gli ’Stan ex sovietici, “M os co w- fr i en dl y ”. Nonostante il cambio di potere, continuerà a esserlo, assicurano i russi e assicura lo stesso Pashinian. “Anche nei momenti più difficili della storia, siete un popolo unito” ha detto la potente portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova. Ha concluso con parole d'amore fraterno, o forse un monito imperativo: “Armenia, la Russia è sempre con te”.
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