Il sogno di Trieste Porto Vecchio, tante idee e pericolo spezzatino
della sua piazza più bella. Per i triestini, il mare è Barcola, dove si va a fare il bagno anche tutti i giorni, nella bella stagione. Ma ora il mare è soprattutto il porto. Dal Caffè degli Specchi, in piazza Unità d’Italia, vedi il Molo Audace e intravedi, a sinistra, il porto nuovo, a destra il Porto Vecchio. Le ciacole ai tavolini lasciano il posto ai conti e ai progetti. Sono in arrivo tanti, tanti soldi.
IL PORTO NUOVOè già il primo d’Italia per movimento merci, 61 milioni di tonnellate l’anno, con 36 milioni l’anno incassati di sole tasse portuali. È il primo per collegamenti ferroviari, 8.800 treni l’anno, che portano merci in Austria, in Baviera, a Budapest, nella Repubblica Ceca. Il primo anche per il petrolio che da qui parte verso il Centro Europa con l’oleodotto transalpino. “Ma nel 2017”, racconta il direttore del porto Mario Sommariva, “il traffico di container è aumentato del 25 per cento”. Ora i cinesi hanno deciso che Trieste sarà il terminale occidentale della “nuova via della seta”. Arrivano investimenti da Pe- dell’area dal Demanio al Comune. L’ha portata a casa il senatore Pd Francesco Russo, affiancato dal sindaco Pd Roberto Cosolini e dalla presidente della Regione Debora Serracchiani. Non ha portato bene: Russo non è stato rieletto in Senato, Cosolini ha dovuto lasciare il posto al nuovo sindaco di Forza Italia Roberto Dipiazza, Serracchiani sarà molto probabilmente sostituita, dopo le regionali del 29 maggio, dal leghista Massimiliano Fedriga. Saranno loro, Dipiazza e Fedriga, a gestire il domani, insieme all’Autorità portuale presieduta dal veronese Zeno D’Agostino. “È partita”, dice eccitato il sindaco uno dei più importanti d’Europa. L’area (doppia rispetto al già riqualificato Porto Antico di Genova) con la sua trasformazione avrà un impatto gigantesco su Trieste, che è una città piccola di 200 mila abitanti. Impatto urbanistico, ma anche economico: sono già arrivati 50 milioni di fondi europei, che ora dovranno essere gestiti da Comune, Regione e Autorità portuale. Ma gli investimenti complessivi previsti, pubblici e privati, potrebbero raggiungere i 5 miliardi di euro. Una succulenta torta Sacher che galvanizza gli amministratori che dovranno gestire il progetto, che fa drizzare le antenne ai grandi gruppi finanziari e imprenditoriali che potrebbero realizzarlo e che attira gli appetiti delle organizzazioni criminali: “C’è anche il pericolo d’infiltrazioni mafiose”, avverte il procuratore della Repubblica di Trieste Carlo Mastelloni.
MA CHE COSA FARE in quei 600 mila metri quadrati? La polemica è tra progetto unitario e “spezzatino”. C’è chi vorrebbe un concorso internazionale per realizzare un masterplan unitario degli interventi. Qualche archistar ha dichiarato il suo interesse, come Massimiliano Fuksas, già impegnato a progettare una grande torre a Capodistria: “Dopo a- ver progettato a Beverly Hills, a Los Angeles e a Pechino, ora l’unico luogo che mi interessa, dove lavorare, è Trieste”. Il sindaco Dipiazza il 10 aprile lo ha accompagnato in visita lungo i moli e gli angiporti da far rivivere, ma poi ha imboccato la strada del fare una cosa alla volta: lo “spezzatino”, appunto. Un’area resterà pubblica, con un Museo del Mare (nei Magazzini 24 e 25), un centro congressi e polo fieristico (27 e 28), mercato del pesce e ristoranti (30) e un polo per la ricerca (Magazzino 26) in vista del 2020 quando Trieste diventerà Capitale europea della scienza. Altre parti sono già “impegnate”: l’area terminal
per la Msc Crociere, l’area ovest già accaparrata dalla Greensisam Real Estate. Il resto? È possibile che arrivino terziario, residenze, commerciale... Nascerà qui la “Città della scienza” dove potrebbe- ro confluire i tanti istituti di ricerca triestini? Sarà l’ennesima speculazione immobiliare? Il Comune manterrà la guida del progetto o lascerà fare a chi porta più soldi?