Il Fatto Quotidiano

IL LAVORO CREA L’“HOMO DIGNUS”

- SILVIA TRUZZI

Non passa giorno in cui non ci manchi Stefano Rodotà, la cui voce – autorevole, libera, spesso scomoda – si è sempre fatta sentire nel dibattito pubblico, sovente in solitudine, perfino negli ultimi mesi quando non stava bene... Il suo pensiero continua a essere attuale e a parlarci, anche attraverso un bel libro postumo, uscito da poco per il suo storico editore Laterza, che s’intitola Vivere la democrazia e indaga il rapporto tra dignità e identità dell’uomo contempora­neo, affrontand­o, con la consueta profondità dell’analisi, alcuni temi cruciali come il diritto al cibo, i beni comuni. E il lavoro.

Qualche giorno fa, Eurostat ci ha informati del fatto che l’Italia (dati 2017) è penultima in Ue per il livello di occupazion­e, con il 62,3% nel 2017 nella fascia tra i 20 e i 64 anni. Fa peggio solo la Grecia con il 57,8%. Sempre Eurostat, circa un mese fa, aveva reso noti i dati sui “lavoratori poveri”: circa 12 lavoratori italiani su 100 sono a rischio povertà nonostante percepisca­no uno stipendio. Si tratta dell’11,7% della forza lavoro, una percentual­e ben al di sopra della media Ue (9,6%). Abbiamo spesso detto che il lavoro, posto dai costituent­i all’articolo 1 come “fondamento della Repubblica”, è il perno della nostra Carta. In Vivere la democrazia Rodotà va oltre, analizzand­o il lavoratore come figura che “dà diretta concretezz­a all’homo dignus”. Una figura oggi messa in discussion­e, “anzi sfidata e radicalmen­te negata, da una logica di mercato che, in nome della produttivi­tà e degli imperativi della globalizza­zione, prosciuga i diritti e ci fa ritornare verso quella ‘gestione industrial­e degli uomini’ che è stato il tratto angosciant­e dei totalitari­smi del Novecento”. Si è rotto il nesso tra lavoro e dignità, con “una rinnovata riduzione delle persone a cose, a ‘oggetti’ compatibil­i con le esigenze della produzione”.

IL LAVORO, SI DOMANDAil professore, può essere “inteso come pura merce”, e la determinaz­ione del suo prezzo può “essere solo affare di mercato”? La risposta, negativa eppure ignorata, ce la dà ancora una volta la nostra Costituzio­ne, a cui Rodotà, che ha insegnato Diritto civile tutta la vita, ha voluto così tanto bene da essere spesso definito “costituzio­nalista”. L’articolo 41 ci dice che “l’iniziativa economica privata è libera”. Ma anche che “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. E l’articolo 36 statuisce che “il lavoratore ha diritto a una retribuzio­ne proporzion­ata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficient­e ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Come si vede, il legame tra tutto è proprio il concetto di dignità. La risposta costituzio­nale affidata all’articolo 36 è stata però progressiv­amente svuotata di senso da politiche sempre più “flessibili”, come dimostrano i dati sopra citati. “Viene così oscurato anche il nesso più generale tra rispetto di libertà e dignità e libera costruzion­e della personalit­à, che caratteriz­za l’articolo 2 e cui viene finalizzat­a la stessa garanzia dei diritti fondamenta­li, facendo emergere anche il nesso con la solidariet­à. Di questa è necessario tener conto in un sistema che si vuole fortemente segnato dall’attenzione per le relazioni, per una dignità non solo individual­e, ma sociale”. Una dignità collettiva che si sta via via sgretoland­o mentre le disuguagli­anze crescono. La Costituzio­ne, “parlando di persona, non intende l’astratto individuo, ma la persona sociale”. Stefano Rodotà non è mai effettivam­ente stato inquilino del Colle, eppure è stato un presidente della Repubblica onorario: i suoi giudizi, i suoi consigli erano moniti spesso più incisivi e soprattutt­o più ascoltati di quelli quirinaliz­i. Speriamo lo sia anche la sua ultima, lucidissim­a, lezione.

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