UN’AREA GRANDE COME IL CENTRO
La vecchia signora asburgica, abituata ai tempi lenti dei suoi caffè mitteleuropei, ha preso a correre. “Trieste”, dice Mitja Gialuz, presidente della Barcolana, la più grande regata del mondo quest’anno arrivata alla sua cinquantesima edizione, “è una delle poche città italiane che non nasconde il suo mare”, come fanno invece Genova o Palermo. Anzi lo accoglie come prolungamento naturale chino, ma anche da Turchia, Russia, Danimarca, Usa.
Dall’altra parte, c’è Porto Vecchio, reso punto franco nel 1719 da Carlo VI d’Asburgo e poi ampliato dall’imperatrice Maria Teresa. Gli immensi magazzini, i moli, la grande gru Ursus: una struggente area di 600 mila metri quadrati andata via via in disuso perché le navi si sono spostate al porto nuovo. Area demaniale, cioè dello Stato. Bloccata per anni, inutilizzata e inutilizzabile. È stata l’amministrazione di centrosinistra a sbloccarla, nel 2016: con la “sdemanializzaz ione”, cioè il passaggio Dipiazza, “una magnifica rincorsa verso il futuro”. La “sdem an ia li zz az io ne ”, infatti, produce due effetti. Il primo: i privilegi doganali del porto franco saranno via via trasferiti dal Porto Vecchio al porto nuovo, attirando nuovi investimenti privati, soprattutto internazionali, per insediarsi nelle aree retroportuali dove si potrà fare non solo logistica (magazzini), ma anche trasformazione, manifattura, assemblaggio di prodotti arrivati via mare. Il secondo effetto: Porto Vecchio diventa il più grande progetto di riqualificazione urbana del Nordest e