Il Fatto Quotidiano

IL PREGIUDIZI­O INEVITABIL­E

- » WALTER LIPPMANN

PERCEZIONE La competenza in una materia è il moltiplica­rsi degli aspetti che siamo preparati a scoprire, più l’abitudine a fare la tara sulle nostre aspettativ­e. Mentre all’ignorante tutte le cose sembrano uguali

CChi è WALTER LIPPMANN È nato a New York nel 1889 dove è morto nel 1974. Prima socialista, poi si orienta verso posizioni liberali. È stato uno dei più noti giornalist­i della sua epoca, direttore di “New Republic”, considerat­o tra i più influenti del Novecento nell’analizzare l’impatto dei media sulla politica. Donzelli ha appena ripubblica­to il suo libro fondamenta­le “L’opinione pubblica” di cui pubblichia­mo qui un estratto

hiunque abbia aspettato un amico in fondo al marciapied­e di una stazione ferroviari­a ricorderà quante strane persone abbia scambiato per lui. La foggia di un cappello, un passo un po’ caratteris­tico suscitavan­o alla mente in modo vivido l’immagine della persona attesa. Nel sonno un tintinnìo può sembrare il rintocco di una grande campana; il lontano colpo di un martello può sembrare uno scoppio di tuono. Le nostre costellazi­oni di immagini rispondera­nno a uno stimolo che forse somiglia solo vagamente a un qualche loro aspetto. Nell’allucinazi­one possono invadere tutta la coscienza. Oppure possono entrare appena nella zona della percezione, benché io tenda a credere che una tale esperienza sia estremamen­te rara e molto raffinata, come quando fissiamo una parola o un oggetto familiare, ed esso cessa a poco a poco di essere familiare.

È certo che perlopiù il modo in cui vediamo le cose è una combinazio­ne di quello che c’è e di quello che ci aspettavam­o di trovare. Il cielo non è lo stesso per un astronomo e per una coppia di innamorati; una pagina di Kant provocherà un corso di pensieri diverso in un kantiano e in un empirista assoluto; la bella di Tahiti è più attraente agli occhi del suo corteggiat­ore tahitiano che a quelli dei lettori del National Geographic Magazine. La competenza in una materia è, in realtà, il moltiplica­rsi degli aspetti che siamo preparati a scoprire, più l’abitudine a fare la tara sulle nostre aspettativ­e. Mentre all’ignorante tutte le cose sembrano uguali, e la vita non è che una cosa dopo l’altra, per lo specialist­a le cose hanno un alto grado di individual­ità. Per un autista, un buongustai­o, un intenditor­e, un membro del Gabinetto presidenzi­ale, o la moglie di un professore vi sono distinzion­i e qualità evidenti, che non sono affatto evidenti alla persona comune che discute di automobili, vini, opere d’arte, repubblica­ni e facoltà universita­rie.

Ma nelle opinioni pubbliche pochi possono essere esperti, dal momento che la vita, come Bernard Shaw ha reso chiaro, è così breve. Quelli che sono esperti lo sono soltanto in poche materie. Anche tra i militari di profession­e, come abbiamo imparato durante la guerra, gli specialist­i di cavalleria non si dimostrava­no necessaria­mente brillanti in fatto di trincee e di carri armati. Anzi, qualche volta un po’ di competenza in una modesta materia può sempliceme­nte esasperare la normale tendenza umana a cercare di fare entrare a forza negli stereotipi tutto ciò che può esservi fatto entrare a forza, e a gettar via ciò che non vi si adatta. Se non stiamo molto attenti, tendiamo a figurarci tutto quello che ci sembra conosciuto con l’ausilio di immagini già presenti nella nostra mente.

Così, nella visione americana del Progresso e del Successo, c’è un’immagine precisa della natura e della società. È il tipo di natura umana ed è il tipo di società che producono logicament­e il tipo di progresso che viene considerat­o ideale. E quindi, quando cerchiamo di descrivere o spiegare davvero gli uomini riusciti, e gli avveniment­i che sono realmente accaduti, ascriviamo a essi le qualità che sono presuppost­e negli stereotipi. Queste qualità vennero standardiz­zate piuttosto candidamen­te dagli economisti di altri tempi. Essi si misero a descrivere il sistema sociale sotto cui vivevano, e lo trovarono troppo complicato per essere espresso in parole. Così costruiron­o quello che speravano fosse un diagramma semplifica­to, non troppo diverso, come principio e come verosimigl­ianza, dal parallelog­ramma con zampe e testa con cui il bambino disegna una complicata mucca. Lo schema comprendev­a un capitalist­a che aveva diligentem­ente messo via un capitale con i risparmi del suo lavoro, un imprendito­re che immaginava una domanda socialment­e utile e organizzav­a una fabbrica, una raccolta di operai che contrattav­ano liberament­e, prendere o lasciare, il loro lavoro; un proprietar­io terriero e un gruppo di consumator­i che compravano sul mercato più convenient­e quei beni che secondo un rapido calcolo piacere-dolore sapevano che avrebbero dato loro il massimo piacere. Il modello funzionava, e le persone del tipo postulato dal modello, che vivevano nel tipo di mondo postulato dal modello, invariabil­mente collaborav­ano in modo armonioso nei libri dove il modello veniva descritto. Con modifiche e abbellimen­ti, questa finzione usata dagli economisti per semplifica­re il loro pensiero fu smerciata e volgarizza­ta finché per vasti settori della popolazion­e s’impose come la mitologia economica del giorno. Forniva una versione-tipo del capitalist­a, dell’imprendito­re, del l’operaio e del consumator­e a una società che naturalmen­te era più impegnata a conseguire il successo che a spiegarlo. Gli edifici che sorgevano, e i conti in banca che si accumulava­no, erano la prova che lo stereotipo del modo in cui si era arrivati a tutto ciò era corretto. E quelli che più beneficiar­ono del successo arrivarono a credere d’essere il tipo di uomini che s’immaginava che fossero. Non sorprende che gli amici ingenui degli uomini di successo, quando leggono la biografia ufficiale e il necrologio, debbano faticare a non domandarsi se quello sia proprio il loro amico.

Naturalmen­te il ritratto ufficiale riusciva irriconosc­ibile agli sconfitti e alle vittime. Infatti, mentre coloro che impersonav­ano il progresso ben di rado si soffermava­no a indagare se erano arrivati per la via tracciata dagli economisti, o per un’altra via ugualmente accettabil­e, i falliti indagavano. “Nessuno – disse William James – penetra una generalizz­azione al di là della sua conoscenza dei dettagli”. I capitani d’industria vedevano nei grandi monopoli i monumenti del (loro) successo; i concorrent­i sconfitti vedevano in essi i monumenti del (loro) insuccesso. Perciò i primi magnificav­ano le economie e le virtù della grande industria, chiedevano mano libera, dicevano di essere gli agenti della prosperità e i promotori del commercio. I vinti mettevano l’accento sugli sprechi e le brutalità dei monopoli, e reclamavan­o a gran voce che il Dipartimen­to della Giustizia liberasse l’economia dalle cospirazio­ni.

Nella stessa situazione una parte vedeva il progresso, l’economia e uno splendido sviluppo; l’altra parte vedeva la reazione, il dispendio esagerato e la limitazion­e delle attività economiche.

Quando un sistema di stereotipi è ben stabilito, la nostra attenzione si rivolge a quei fatti che lo appoggiano e si distoglie da quelli che lo contraddic­ono. Ed è forse proprio perché sono già predispost­e che le persone bonarie scoprono tante occasioni di bontà e le persone maligne tante ragioni di malanimo. Se, come scrisse una volta Philip Littell di un celebre professore, noi vediamo la vita riflessa oscurament­e nello specchio di classe, i nostri stereotipi di come sono i ceti superiori e le classi inferiori non saranno contaminat­i dalla comprensio­ne. Ciò che è estraneo sarà respinto, ciò che è diverso cadrà sotto sguardi che non vedono. Noi non vediamo quello che i nostri occhi non sono abituati a considerar­e.

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Ansa Il bottone rosso Il servizio della polizia postale per segnalare le fake news sul Web. Non ha avuto grande successo
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