L’eterno fantasma del conflitto d’interessi, da Bossi a Di Maio
LEGGEMANCATA L’ultima norma è fatta da B.
Inizia una nuova legislatura, torna il conflitto d’interessi. La storia recente insegna che, presto, il tema sparirà. Ma basta che Luigi Di Maio lo accenni e subito Silvio Berlusconi si spaventa. Di Maio: “Fa specie vedere che Berlusconi utilizzi tv e giornali per mandare velate minacce a Salvini, qualora decidesse di sganciarsi. È arrivato il momento di metter mano a questo conflitto d’interessi, un politico non può essere proprietario di mezzi di informazione”. E Berlusconi: “Esproprio proletario”.
IL CANDIDATO premier dei Cinque Stelle è stato garbato in confronto ai toni che la Lega di Umberto Bossi usava a metà degli anni Novanta quando, dopo la caduta del primo governo Berlusconi, aveva rotto con Forza Italia. “La Fininvest è nata da Cosa Nostra. Ci risponda, Berlusconi, da dove vengono i suoi soldi”, diceva l’ormai ex leader leghista il 7 luglio 1998, quando giurava di non sedersi mai più al tavolo con Silvio che “riciclava i soldi della mafia”. Era l’anno delle 11 domande della Padania, defunto quotidiano leghista, a Berlusconi sull’origine dei suoi soldi: “D’ora in poi il silenzio non le è più consentito né come imprenditore, né come politico, né come uomo”.
Poi la Lega è tornata con Berlusconi e, paradosso ma non troppo, la legge oggi in vigore sul conflitto d’interessi l’ha fatta proprio il governo Forza Italia-Lega nel 2004, la celebre “legge Frattini”. Celebre per essere così ben calibrata da non aver creato alcun problema a Silvio Berlusconi che ha continuato a essere l’azionista di riferimento della galassia Fininvest e dunque delle tv Mediaset oltre che della Mondadori.
Nel 2013, all’inizio della XVII legislatura, con la condanna imminente di Berlusconi per frode fiscale sembra che ci sia il contesto giusto per una vera riforma. Il 20 giugno 2013 un gruppo di importanti senatori del Partito democratico presenta un disegno di legge “in materia di incompatibilità parlamentare”. È una norma che vuole aggiornare le varie disposizioni sul conflitto di interessi in modo da farci rientrare anche la posizione di Berlusconi. Una vecchia legge del 1957 disciplina i casi in cui un parlamentare si trova in conflitto d’interessi quando in- trattiene “in proprio” o “quale esponente di imprese private a scopo di lucro, rapporti contrattuali di notevole entità economica con le pubbliche amministrazioni”. Berlusconi è titolare di concessioni televisive, ma non a livello personale, bensì tramite Fininvest e Mediaset, dunque riesce ad aggirare la norma. Il disegno di legge del Pd voleva evitare che deputati e senatori potessero avere “nelle imprese che siano in rapporti con amministrazioni pubbliche, interessi rilevanti determinati”. Primo firmatario era Massimo Mucchetti (che non si è ricandidato) e il capogruppo di allora, Luigi Zanda, oltre ad altri senatori di prima fila. Mancava giusto Andrea Marcucci (oggi capogruppo Pd al Senato) perché da quella legge sarebbe stato colpito, visto che l’azienda della sua famiglia, la Kedrion, è partecipata dal 2012 dalla Cassa Depositi e Prestiti e lui stesso è consigliere d’amministrazione della Kedrion . Quella legge si arena presto, così come altre proposte ancora meno concrete: perfino Franco Frattini, ex ministro responsabile della legge omonima, nel 2013, sosteneva la necessità di un “blind trust obbligatorio e totale” per il politico-imprenditore. Ma solo dopo una riforma presidenzialista per mandare il Cavaliere al Quirinale.
IL PD RENZIANO ha presto scoperto che con i guai di Banca Etruria del papà di Maria Elena Boschi era meglio non parlare di conflitti d’interessi. E Berlusconi continua a comandare sulle sue tv, con i talk show che vengono chiusi se c’è il sospetto che favoriscano la Lega anziché Forza Italia. “Il Movimento 5 Stelle non ha alcuna pregiudiziale nei confronti delle aziende di Berlusconi”, aveva detto subito Emilio Carelli, neo-onorevole M5S, ex dipendente Mediaset. Poi Luigi Di Maio lo ha corretto.
Occasioni mancate
Nel 2013 il Pd voleva una stretta, poi ha capito che con il caso Etruria e Boschi era meglio di no