Nell’inchiesta sul giudice c’è anche il nome di Legnini
L’avvocata dello Stato Gerardis lo indicò in relazione alle pressioni sul processo per i veleni di Bussi ma il vicepresidente nega qualsiasi ruolo
Estate 2016. L’avvocato dello Stato Cristina Gerardis, che ha seguito il processo di Bussi sulla maxi discarica abruzzese dei tempi della Montedison, viene sentita dal procuratore generale della Cassazione. È in corso il procedimento disciplinare sul giudice Camillo Romandini, dopo le rivelazioni del Fatto sulle pressioni (archiviate sotto il profilo penale) esercitate nei riguardi dei giudici popolari della Corte d’assise di Chieti, alla vigilia della sentenza che mandò assolti per prescrizione i 19 indagati del processo. È lo stesso procedimento disciplinare per il quale è in corso, in seno al Csm, una polemica con il vice presidente Giovanni Legnini, per i rinvii dell’udienza prevista dal calendario.
IL PROCURATORE gener ale della Cassazione chiede conto a Gerardis di un incontro che si è tenuto il 4 dicembre 2015, a venti giorni dalla sentenza, in uno studio legale, tra i pm che conducevano il processo sulla discarica di Bussi, l’avvocato dello Stato e alcune parti civili. Al Fatto Quotidiano risulta che Gerardis ha ricostruito quei colloqui ribadendo quel che il Fatto aveva rivelato ai suoi lettori: “I pm Giuseppe Bellelli e Annarita Mantini – riassumiano in modo non letterale la risposta di Gerardis – dissero che era tutto inutile e che avremmo perso. Abbiamo chiesto come facessero a saperlo e la dottoressa Mantini ha detto che ne avevano avuto certezza da una persona più importante del ministro di giustizia. Come ho interpretato questa frase: ho ritenuto che si riferissero al vice presidente del Csm Legnini”. Non si tratta di un’accusa al vicepresidente del Csm, come è ovvio, ma la deduzione dell’avvocato dello Stato quando, dinanzi alla Procura generale della Cassazione, le è stato chiesto di interpretare le parole che i pm rivolsero a lei e alle parti civili in quell’incontro.
Le dichiarazioni di Gerar- dis al procuratore generale della Cassazione gettano un’ombra sull’intera vicenda soprattutto alla luce delle polemiche di questi giorni, all’interno del Csm, sul ritardo nella gestione del fascicolo disciplinare sul concittadino di Legnini, il giudice di Chieti Camillo Romandini.
IL FATTO HA CHIESTO al vice presidente Legnini di fornire la sua versione sul punto. Fermo restando che non intendiamo mettere in dubbio le sue parole, tuttavia riteniamo che, per non lasciare la minima ombra sul Consiglio supe- riore della magistratura, gli stessi quesiti - alla luce delle dichiarazioni di Gerardis e di altre fonti che hanno confermato al Fatto l’episodio del 4 dicembre 2015 - meriterebbero di essergli rivolti anche nelle sedi istituzionali.
Abbiamo chiesto a Legnini se abbia mai discusso con i pm Bellelli e Mantini, o con il giudice Romandini del processo
Bussi. Se li abbia incontrati quel 4 dicembre. Se fosse a conoscenza di anomalie relative al processo in questione.
“Non ho mai parlato con i magistrati – risponde Legnini – degli esiti del procedimento Bussi”. Il vicepresidente del Csm è categorico: “È certo che non sia io la ‘persona più importante del ministro’ a cui qualcuno ha voluto riferirsi”. Poi aggiunge: “Ho sempre avuto in grande considerazione il lavoro straordinario dei pm e sono sempre stato dalla parte dei cittadini e non degli inquinatori”. Legnini rivendica il suo impegno sul risa- namento della discarica di Bussi: “Da parlamentare – puntualizza – riuscii a ottenere importanti risorse sia per disinquinare le sorgenti, lavori poi realizzati in tempi rapidissimi, sia per lo stanziamento di 50 milioni, purtroppo ancora inutilizzato”.
C’è un altro punto che Legnini precisa, in virtù del suo ruolo di presidente della sezione disciplinare: “Quanto al procedimento a carico di Romandini – spiega – ho da subito comunicato al consigliere Antonio Leone di non voler presiedere quel collegio giudicante”. Il motivo? “Proprio perché me ne ero occupato da parlamentare”. E sul fascicolo pendente precisa: “Il dibattimento non è ancora stato aperto e il collegio è quello titolare, al quale era stato assegnato, come era obbligatorio fare”. Nessun ruolo nella vicenda del 4 dicembre 2016 e nelle vicissitudini dell’inchiesta su Bussi: “Mere congetture – conclude – poiché i miei comportamenti sono sempre stati trasparenti e rispettosi dei miei doveri istituzionali”.
Resta il fatto, però, che quel 4 dicembre 2015, stando alla ricostruzione dei presenti, i pm dissero che era ormai tutto inutile, che avrebbero perso, come effettivamente avvenne, e di averlo saputo da qualcuno più importante del ministro di giustizia. Legnini dice di non saperne nulla. A chi si riferivano?
Il racconto
“I pm dissero che tutto era già deciso e di averlo saputo da persona più in alto del ministro. Io pensai a lui”