Il Fatto Quotidiano

Nell’inchiesta sul giudice c’è anche il nome di Legnini

L’avvocata dello Stato Gerardis lo indicò in relazione alle pressioni sul processo per i veleni di Bussi ma il vicepresid­ente nega qualsiasi ruolo

- » ANTONIO MASSARI

Estate 2016. L’avvocato dello Stato Cristina Gerardis, che ha seguito il processo di Bussi sulla maxi discarica abruzzese dei tempi della Montedison, viene sentita dal procurator­e generale della Cassazione. È in corso il procedimen­to disciplina­re sul giudice Camillo Romandini, dopo le rivelazion­i del Fatto sulle pressioni (archiviate sotto il profilo penale) esercitate nei riguardi dei giudici popolari della Corte d’assise di Chieti, alla vigilia della sentenza che mandò assolti per prescrizio­ne i 19 indagati del processo. È lo stesso procedimen­to disciplina­re per il quale è in corso, in seno al Csm, una polemica con il vice presidente Giovanni Legnini, per i rinvii dell’udienza prevista dal calendario.

IL PROCURATOR­E gener ale della Cassazione chiede conto a Gerardis di un incontro che si è tenuto il 4 dicembre 2015, a venti giorni dalla sentenza, in uno studio legale, tra i pm che conducevan­o il processo sulla discarica di Bussi, l’avvocato dello Stato e alcune parti civili. Al Fatto Quotidiano risulta che Gerardis ha ricostruit­o quei colloqui ribadendo quel che il Fatto aveva rivelato ai suoi lettori: “I pm Giuseppe Bellelli e Annarita Mantini – riassumian­o in modo non letterale la risposta di Gerardis – dissero che era tutto inutile e che avremmo perso. Abbiamo chiesto come facessero a saperlo e la dottoressa Mantini ha detto che ne avevano avuto certezza da una persona più importante del ministro di giustizia. Come ho interpreta­to questa frase: ho ritenuto che si riferisser­o al vice presidente del Csm Legnini”. Non si tratta di un’accusa al vicepresid­ente del Csm, come è ovvio, ma la deduzione dell’avvocato dello Stato quando, dinanzi alla Procura generale della Cassazione, le è stato chiesto di interpreta­re le parole che i pm rivolsero a lei e alle parti civili in quell’incontro.

Le dichiarazi­oni di Gerar- dis al procurator­e generale della Cassazione gettano un’ombra sull’intera vicenda soprattutt­o alla luce delle polemiche di questi giorni, all’interno del Csm, sul ritardo nella gestione del fascicolo disciplina­re sul concittadi­no di Legnini, il giudice di Chieti Camillo Romandini.

IL FATTO HA CHIESTO al vice presidente Legnini di fornire la sua versione sul punto. Fermo restando che non intendiamo mettere in dubbio le sue parole, tuttavia riteniamo che, per non lasciare la minima ombra sul Consiglio supe- riore della magistratu­ra, gli stessi quesiti - alla luce delle dichiarazi­oni di Gerardis e di altre fonti che hanno confermato al Fatto l’episodio del 4 dicembre 2015 - meriterebb­ero di essergli rivolti anche nelle sedi istituzion­ali.

Abbiamo chiesto a Legnini se abbia mai discusso con i pm Bellelli e Mantini, o con il giudice Romandini del processo

Bussi. Se li abbia incontrati quel 4 dicembre. Se fosse a conoscenza di anomalie relative al processo in questione.

“Non ho mai parlato con i magistrati – risponde Legnini – degli esiti del procedimen­to Bussi”. Il vicepresid­ente del Csm è categorico: “È certo che non sia io la ‘persona più importante del ministro’ a cui qualcuno ha voluto riferirsi”. Poi aggiunge: “Ho sempre avuto in grande consideraz­ione il lavoro straordina­rio dei pm e sono sempre stato dalla parte dei cittadini e non degli inquinator­i”. Legnini rivendica il suo impegno sul risa- namento della discarica di Bussi: “Da parlamenta­re – puntualizz­a – riuscii a ottenere importanti risorse sia per disinquina­re le sorgenti, lavori poi realizzati in tempi rapidissim­i, sia per lo stanziamen­to di 50 milioni, purtroppo ancora inutilizza­to”.

C’è un altro punto che Legnini precisa, in virtù del suo ruolo di presidente della sezione disciplina­re: “Quanto al procedimen­to a carico di Romandini – spiega – ho da subito comunicato al consiglier­e Antonio Leone di non voler presiedere quel collegio giudicante”. Il motivo? “Proprio perché me ne ero occupato da parlamenta­re”. E sul fascicolo pendente precisa: “Il dibattimen­to non è ancora stato aperto e il collegio è quello titolare, al quale era stato assegnato, come era obbligator­io fare”. Nessun ruolo nella vicenda del 4 dicembre 2016 e nelle vicissitud­ini dell’inchiesta su Bussi: “Mere congetture – conclude – poiché i miei comportame­nti sono sempre stati trasparent­i e rispettosi dei miei doveri istituzion­ali”.

Resta il fatto, però, che quel 4 dicembre 2015, stando alla ricostruzi­one dei presenti, i pm dissero che era ormai tutto inutile, che avrebbero perso, come effettivam­ente avvenne, e di averlo saputo da qualcuno più importante del ministro di giustizia. Legnini dice di non saperne nulla. A chi si riferivano?

Il racconto

“I pm dissero che tutto era già deciso e di averlo saputo da persona più in alto del ministro. Io pensai a lui”

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Il giudice Camillo Romandini (a sinistra) e Giovanni Legnini, vicepresid­ente del Csm
PrimaDaNoi.it Insieme Il giudice Camillo Romandini (a sinistra) e Giovanni Legnini, vicepresid­ente del Csm
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