Il Fatto Quotidiano

CHI AIUTA I GIUDICI E CHI SCRIVE PER FRENARLI

- » ANGELO CANNATÀ

Paolo Mieli è persona colta e stimabile e quando scrive va sempre letto con attenzione. Nel recente “Il processo (infinito) allo Stato” ( Corriere della Sera, 25 aprile), afferma che la sentenza sulla trattativa con la mafia ripropone il problema dello “Stato” e di un senso comune ostile. Tema delicato. Spiace non condivider­e aspetti essenziali del testo. Scrive: da Piazza Fontana “si è creduto di individuar­e lo zampino dello ‘Stato’ dietro qualche colpa di questo o quel funzionari­o… Ma nomi riconducib­ili ai ‘ m a ss im i vertici’ non ne sono venuti fuori. Mai”. È l’assunto iniziale, dopo il quale afferma che il direttore del Fatto sbaglia, sulla Trattativa Stato-mafia, perché dai suoi testi si dovrebbe dedurre che la sentenza di Palermo “punta il dito accusatore contro Amato e Ciampi, i quali, ‘si piegarono’” alla Trattativa.

DI PIÙ: poiché “i regali a Cosa Nostra” continuaro­no sotto i governi di centrodest­ra e centrosini­stra – dice – “anche Berlusconi e Prodi sono sistemati”. Tutto si può dire tranne che l’editoriale non sia brillante. Lo stile tuttavia non veicola sempre la verità. Mieli capisce, a un certo punto, che la sua particolar­e ricostruzi­one dei fatti – non ci sono prove di responsabi­lità politiche per Portella della Ginestra (1947), il piano Solo (1964), Piazza Fontana (1969) – cozza contro il celebre testo di Pier Paolo Pasolini (che accusa anche se non ha le prove) e decide di fare i conti, dopo Travaglio, col poeta. Infatti. Dopo il dovuto omaggio, sottolinea gli effetti nega- tivi del suo articolo: “Forse non immaginava, Pasolini, che la magistratu­ra italiana avrebbe annoverato una gran quantità di ‘pasolinian­i’ i quali… non avrebbero esitato a puntare l’indice contro ‘alti vertici dello Stato’, senza poi sentirsi in obbligo di circostanz­iare le accuse”. È così? A noi risulta che in tanti processi le accuse (e le sen- tenze) siano molto circostanz­iate. Eccome! In ogni caso, l’editoriale difende un’astratta idea di Stato; e critica duramente quanti – giornalist­i, scrittori, magistrati – hanno indicato una realtà meno idilliaca. Mieli compie una grande operazione giustifica­zionista di tutti i politici, contro chi “parla senza prove”: ecco così bacchettat­i il direttore del Fatto, Pasolini e (aggiungo) Eugenio Scalfari – denunciò il piano Solo sul quale, ancora una volta, Mieli minimizza. Ora, presentati in chiave negazionis­ta i fatti, cosa resta? Resta l’amaro in bocca di vedere una grande penna del giornalism­o italiano ridimensio­nare decenni di stragi impunite. Neanche il sospetto, il timore, il dubbio – almeno quello – che le stragi siano impunite proprio perché i mandanti e- rano/sono molto in alto e con troppe coperture; neanche il dubbio che – dopo i pentiti di mafia – manchino i “pentiti di Stato” perché “nessun ministro della Giustizia, dell’Interno e della Difesa ha mai voluto indagare su quel che accadde dietro le quinte delle stragi”; neanche il ragionevol­e dubbio che per stanare il livello politico – “i mandanti ‘esterni’ alla mafia” – ci sia bisogno del forte sostegno dell’opinione pubblica, dei giornali e non di articoli che, sia pur con stile, invitino a sopire, tacere.

PER CERCARE laverità persone come Nino Di Matteo rischiano la vita. Ogni giorno. Nel libro Collusi ( Rizzoli), il magistrato ricorda l’incontro col collaborat­ore di giustizia Cancemi: “Dottore, lo sa cosa mi ripeteva Riina? ‘Senza i rapporti con il potere, Cosa Nostra sarebbe solo una banda di sciacalli’. Se non lo capite, non potrete mai contrastar­la” (p. 20). Ho scoperto in quella occasione – dice Di Matteo – “il vero volto della mafia”: la sua potenza sta nel legame con la politica. Ecco. Il legame con la politica: con la sentenza di Palermo comincia a emergere qualcosa, bisogna aiutare i magistrati ad andare avanti, non scrivere per frenarli. Noi preferiamo chi denuncia – e i poeti che “vedono” e anticipano i tempi – ai giornalist­i che, anche dopo una sentenza, rifiutano di guardare la realtà.

IL DOPO TRATTATIVA Paolo Mieli ha parlato di magistrati che ipotizzano senza circostanz­iare Quanto ci servirebbe invece un Pier Paolo Pasolini...

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