PD-5STELLE, SERVE UN COMPROMESSO ALLA BERLINGUER
Verso la Direzione Alla vigilia dell’attesa riunione del 3 maggio, un big della minoranza dem anticipa le sue proposte al partito
Aprire o no al Movimento 5 Stelle? Personalmente la vedo così. Se hai perso le elezioni il tuo pensiero non può essere scollinare il mese, ma capire in quale capitolo della storia sei precipitato. Questo è il limite più grande di ciò che non è accaduto a urne chiuse. Una riunione del Pd il 12 marzo e poi la scelta di rinviare. Si è rinviata l’assemblea nazionale per non sovrapporla alle consultazioni. Non si è più riunita la direzione, lo si farà il 3 maggio a due mesi dal voto. Soprattutto non si è scavato nelle pieghe del risultato. Cosa è accaduto al Nord, tra gli operai attratti dalla Lega? Cosa ha cambiato la geografia del Mezzogiorno con quella chiazza gialla da Roma a Lampedusa?
Ora, è evidente che senza questo coraggio il primo riflesso è aggrapparsi alla tattica. Capire le mosse degli altri e regolarsi di conseguenza. Quelli si impaludano perché non riescono a trovare i numeri per un governo? Ci si può limitare a passeggiare sulle loro contraddizioni, magari contando sulla volontà del capo dello Stato di evitare nuove elezioni. Uno può definirlo un atteggiamento spregiudicato e avrebbe qualche ragione.
Però esiste l’alternativa. Che contempla due requisiti. Uno temporale. Non si ragiona del prossimo mese, ma della prossima fase. L’altro riguarda l’ambizione delle decisioni, nel senso che la bussola cessa di essere la tattica e diventa la strategia. Pare un sofisma? Non è così. Una strategia investe la visione che una forza politica elabora del contesto dove si trova. Risponde a una domanda sui rapporti di forza destinati a imporsi sulla scena del mondo, nel caso nostro del Paese dopo il 4 marzo e dell’Europa dopo la crisi.
È SEMPRE rischioso scomodare il passato per motivare l’attualità. Ma solo per capirci, un esempio di strategia fu la reazione di Berlinguer ai fatti del Cile. Quel prendere atto che neppure il 51 per cento avrebbe garantito una transizione democratica all’Italia degli anni 70. Se alziamo lo sguardo, una strategia fu quella di Helmut Kohl quando impose la riunificazione tedesca, garantendo a Washington l’a pp ar te ne nz a della nuova Germania alla Nato, offrendo a Mosca aiuti finanziari in cambio della fusione con la Ddr e rinunciando al Deutsche Mark per compensare le ansie francesi su futuri squilibri. Ora, possiamo collocare la discussione su una possibile intesa tra 5 Stelle e Pd in vista di un nuovo governo, a un’altezza simile?
A dirla tutta pare difficile, e non solo per la caratura dei protagonisti. È che la natura del confronto per come si è svolto sinora non evoca scenari storici, ma calcoli più modesti. Lo stesso affidare una bozza di contratto a pregevoli esperti più che alimentare sogni di alta politica rinvia a fusioni societarie. Detto ciò credo sia inutile per entrambi – Pd e 5 Stelle – confinare la verifica alla sola tattica. Lo scrivo perché resto convinto che il giudizio non possa risultare da una battaglia agitata a colpi di tweet, hashtag e battute.
Al centro andrebbe posta una questione diversa: l’idea che avanziamo noi sullo sbocco da dare alla paralisi. Impostata così la discussione dentro il Pd potrebbe assumere una piega diversa muovendo dalle priorità che ci diamo. Per quanto mi riguarda sono allarmato da un governo a trazione leghista o dove quella cultura sia destinata a occupare un peso decisivo. Da uomo di sinistra lo considero un rischio e quindi non faccio il tifo per l’alleanza tra Salvini e Di Maio.
La seconda necessità è nel porre il capo dei 5 Stelle dinanzi a una responsabilità che finora ha scansato. La declino così. Quel modo di procedere nelle settimane passate – “offro un contratto alla Lega o al Pd”– era irricevibile per una ragione di sostanza rimasta ignorata o qua- si. Il punto è che l’Europa è attraversata da un conflitto palese tra sovranisti e non. Con la novità che i rapporti di forza tra le due culture si sono ribaltati. Sovranisti sono i governi di gran parte dell’Est Europa, alcuni si affacciano al Nord e l’idea di un governo in Italia condizionato da quella impostazione assumerebbe un rilievo simbolico.
L’AMBIGUITÀ della leadership mostrata in quel passaggio è stata rivolgersi a due forze – noi e la Lega – alternative sul terreno della collocazione internazionale dell’Italia. Col rispetto dovuto al professor Della Cananea, materia questa estranea alle tabelle sinottiche sulle convergenze dei programmi di ciascuno e che attiene piuttosto alla concezione del ruolo, della funzione del tuo Paese. Insistendo sul contratto da firmare con questi o quelli “perché a noi interessa risolvere i problemi degli italiani” temo che Di Maio abbia mancato di spiegare dove il primo partito uscito dalle urne vuole portare l’Italia. Verso Visegrad o in direzione di principi che con quel quartetto nulla hanno a che fare? Gli vorrei dire che chiarire il tema vuol dire occuparsi esattamente dei problemi degli italiani, perché da lì deriveranno le risposte in materia di lavoro, integrazione al reddito, circolazione di merci e persone, politiche di sicurezza e accoglienza, contrasto alla povertà.
ORA, SE DA sinistra vogliamo evitare la saldatura tra parte della destra e il primo partito del Paese, e se insieme a questo pensiamo sia fondamentale ancorare quella forza a una cultura europeista e contraria alle spinte xenofobe in pieno assalto del continente, aprire il dialogo sulla base dei nostri principi forse può accendere una luce. Non so dire quali e quanti frutti questa impostazione possa dare. Come Martina vedo la difficoltà, so che le differenze pesano e so quale influenza hanno i sentimenti delle persone che rappresenti. Ma proprio per l’altezza dell’o- stacolo penso che la sola via sia innalzare a nostra volta il livello delle motivazioni che spingono la principale forza della sinistra a misurarsi con una prova del genere. Aggiungo che saremmo stati più forti se dopo la sconfitta avessimo aperto il confronto con quei pezzi di società che abbiamo lasciato per strada e hanno scelto la via del disimpegno o della fiducia ad altri. Civismo organizzato, forze sociali e sindacali, un tessuto associativo, lavoratori delusi, la sinistra può affrontare passaggi difficili se ritrova il consenso della sua gente. Meno di questo e resteremo prigionieri delle nostre pochezze. Ma così facendo mancheremmo a un appuntamento. Non con la storia, quella per fortuna cammina anche senza di noi. No, mancheremmo all’appuntamento con le ragioni di una politica indirizzata al bene comune. Tutto qui, ma forse non è poco.
Un consiglio a Renzi Non si ragiona solo sulla tattica, dobbiamo aprire una nuova fase contro la destra
GIANNI CUPERLO
Nascondendosi dietro al contratto, Di Maio non ha ancora spiegato dove intende portare l’Italia il primo partito uscito dalle urne il 4 marzo