Il Fatto Quotidiano

“Il nostro ambiente fa schifo: Battisti e io sempre stati isolati”

ADRIANO PAPPALARDO Cantante e attore, “Ricomincia­mo” la sua hit: “Neanche piaceva”

- » ALESSANDRO FERRUCCI Twitter: @A_Ferrucci

Lo stereotipo a casa Pappalardo non passa; così come la terza persona singolare o le classiche prese di distanza tra soggetto e uomo di spettacolo, tra palco e realtà. Lui è uno solo. È proprio Adriano Pappalardo, con gli attrezzi ginnici appesi sulle porte di casa (“mi alleno sempre”), un’irruenza fanciulles­ca “che in questi anni mi ha causato vari problemi profession­ali. Però chi se ne frega”; o quando riprende la moglie perché tenta di smussare qualche ricordo su Mina o Battisti, “nooooo! Vado senza filtri”. Poi mentre parla di James Brown (“il mio mito”) può all’improvviso alzarsi in piedi e cantare, proprio alla James Brown, con botte clamorose di diaframma e il collo taurino che esplode. La moglie Lisa lo guarda, lui sorride: “Stiamo insieme da 48 anni, lei è tutto”.

Pappalardo da bambino. Identico a come sono oggi, un capellone in jeans e scarpe sportive, nato in un paesino del profondo Salento. Da sempre ribelle.

Puro Dna.

A scuola pensavano avessi la puzza sotto al naso, invece ero solo molto padrone di me, delle mie parole, dei miei gesti, dei miei obiettivi. Io volevo cantare e recitare, così mi piazzavo davanti allo specchio e provavo le mosse, mentre mio padre gridava in dialetto: ‘Cosa fa questo figlio di puttana invece di studiare?’.

Preoccupat­o.

Ogni tanto ero costretto a dormire a casa dei miei nonni, e comunque non aveva tutti i torti: alle medie mi hanno bocciato due volte, così in quarto ginnasio ero alto un metro e ottanta, e con tanti chili di muscoli.

Bullizzato, mai. Qualcuno mi sputava sulla schiena.

Metafora o realtà?

Tutte e due, e non me ne accorgevo, era sempre mio padre a raccoglier­e i mugugni e le prese per il culo del paese, poi le riportava a casa.

Ha mai frequentat­o una scuola di canto?

Una sola volta, ma dopo dieci minuti, e all’ ennesimo o oo oo oo hh h, ho stoppato il maestro: ‘Che rottura!’

Il suo è sempre istinto.

Sì, e il mondo dello spettacolo l’ho desiderato da sempre, ma dopo otto anni di profession­ismo ho capito la realtà.

Qual è?

È pieno di falsi, meschini, arrivisti, leccaculo e ruffiani.

Mezze misure, mai.

Le sfumature non mi interessan­o, e l’unica persona che mi può giudicare è mia moglie. Basta. Solo lei.

Lisa...

Incontrata nel 1972 a Milano dentro gli uffici della mia etichetta: insieme al padre gestiva una grossa agenzia di cantanti, in scuderia big come Johnny Dorelli e Bruno Lauzi. Ed era bellissima, anzi lo è ancora, e mi piace sempre tanto, sessualmen­te attivi.

Compliment­i.

Appena la vedo, l’invito a cena; lei rifiuta: ‘Sono con un’amica’. ‘Allora mi aggiungo a voi’. Dopo pochi giorni stavamo insieme: ‘ Con te invecchier­ò’, le mie prime parole.

Ottimo intuito.

Sempre insieme. La portavo con me pure quando andavo in bagno per la cacca... (Interviene la moglie: ‘ Dai! Non puoi raccontare anche questo’) E perché no?

Appiccicat­i.

Con gli altri del gruppo che mi prendevano per il culo, mi indicavano le altre donne: ‘Guarda quante ne stai perdendo’. A me non importava, senza Lisa non riuscivo già a vivere (continua la moglie: ‘Si fidava solo di me, anche in sala d’incisione’)

Il suo collo è enorme... Però io canto con il diaframma, mica con la gola (e ricomincia a cantare), altrimenti non avrei retto tutti questi anni. I primi tempi alla RCA ho fuso più di un microfono, li foderavano per salvarli.

Conosceva l’inglese? Zero. Inventavo quasi tutte le parole, improvvisa­vo, avevo un linguaggio tutto mio. Tipo Alberto Sordi in “Un americano a Roma”. Affascinav­o con il ritmo, la voce e la fisicità. Una sera in Puglia, alla fine di un concerto, arrivano tre musicisti statuniten­si per stringermi la mano, nel frattempo cantava Patty Pravo, ospite d’onore, eppure il pubblico la fischiava e scandiva il mio nome. Lì ho pensato: ‘Io sfondo’.

Così è andata...

Mica subito, ho continuato a suonare in giro per la regione, quasi ogni sera, fino a quando mi nota Maurizio Arcieri (leader dei New Dada): ‘Vieni a Milano, ti presento Claudio Fabi (papà di Niccolò)’. Accetto, ovvio. Arrivo, canto, lui mi rivolge un paio di domande, poi aggiunge: ‘Torna a casa e aspetta mie notizie’.

Finalmente.

Ho atteso un anno, mio padre furioso, io giù di morale, per questo lo richiamo: ‘Adriano, vieni qui appena puoi’.

Altra chance.

Mi accompagna in una saletta prove, si piazza al pianoforte: ‘Canta Yesterday’...

Sempre all’Alberto Sordi. Sempre. Però neanche arrivo all’inciso, e si apre una porticina: compare una capoccia tanta (e allarga le braccia) con al collo un foulard.

Lucio Battisti.

Neanche saluta, e attacca con una battuta in stile-Battisti: ‘Ammazza, pensavo fosse Lavezzi con la voce, e sono corso qui per gridare al miracolo. Chi è questo?’ Uno dei miei, risponde Fabi. ‘No, lo mettiamo sotto contratto noi’.

Subito “scippato”.

Il contrario: Lucio se ne va, Fabi mi guarda soddisfatt­o: ‘Ci siamo riusciti’. Da lì non ho capito niente, per due mesi il mio cervello è andato in pappa, a casa non ci credevano.

Dal paesino alla metropoli. Mi sono sentito perso, quella realtà non mi calzava, e poi mi ostinavo a restare un terruncell­o incontamin­abile.

Ancora oggi.

Quando mi incazzo esce il salentino stretto. Insomma, Milano. Alcun rapporto con la città, una sera per rimorchiar­e mi sono finto americano: ‘Drink? Sorry, io non parlamolto bena italiano’. Funzionato?

Siamo finiti a letto, mentre se gli avessi detto ‘vengo da Copertino’avrei passato un’altra sera in bianco. Però era entrato nel giro musicale giusto...

Quello dopo il mio primo successo, nel frattempo non avevo una lira, per sopravvive­re mio padre trovò degli amici di Lecce, anche loro scannati e con il bagno sul balcone, dai quali trovavo un piatto caldo; poi arrivò mio fratello e con il suo stipendio da barista recuperava­mo qualcosa. E ha inciso “Una donna”.

Ventimila copie vendute; quando Battisti fondò la sua e- tichetta, il giorno della presentazi­one schierò i suoi cavalli: Nannini, Bennato, Lauzi, poi indicò me: ‘Questo animale si chiama Adriano Joe Pappalardo: l’anno prossimo vi darà filo da torcere’. Lucio Battisti.

In realtà non lo conosce nessuno, a parte sua moglie, Mogol, me e Lisa. Neanche Mina?

Con Mina aveva molti meno rapporti di quanto tutti possono immaginare. Voi due amici da subito?

Il rapporto con Battisti si salda dopo il mio secondo singolo, È ancora giorno, 800.000 copie vendute, primo in classifica, e davanti a Lucio: ‘Aoh, a Pappafico – mi chiamava così – e ‘mo basta, hai rotto’ Nel gruppo di artisti della RCA c’era Renato Zero...

A ll ’ inizio lo scansavano, lo

Con lei delle litigate epiche, una volta ha anche provato a picchiarmi con la cinta dei pantaloni

MARA MAIONCHI All’inizio gli altri artisti, come De Gregori e Dalla, lo prendevano in giro, lo scansavano Poi hanno capito la sua forza

RENATO ZERO

prendevano in giro, perenni battute e illazioni. Ricordo una serata a Roma, durante la quale Renato si presenta vestito di soli veli, con Dalla che scoppia a ridere, De Gregori schifato, sussurra: ‘Vi prego, non me lo fate vedere’. Mi scoccio, lo abbraccio e ci scattiamo una foto.

Si saranno ricreduti.

Anni dopo ritrovo Dalla in RCA, e reduce da un concerto di Zero. Era stravolto: ‘Non ho mai visto il pubblico impazzire così per un cantante’.

“Ricomincia­mo”.

È stata la vera svolta, e pensare che a Ennio Melis (celebre discografi­co) neanche piaceva, dopo il primo ascolto inizia a smontarla, nota su nota, frase su frase.

Un successo giunto dopo un periodo buio.

Anni nei quali ero diventato trasparent­e, rifiutato dai giornalist­i. Una mattina in ufficio becco Mara Maionchi, le chiedo il motivo di tanta ostilità, e lei: ‘ Di te non frega un cazzo a nessuno’ E me lo dici così?

Donna diretta.

Non contento insisto, e lei: ‘Ora te lo dimostro’. Alza il telefono, chiama Vesigna ( direttore di Tv Sorrisi e Canzoni). ‘Gi-

gi, mi pubblichi una recensione al disco di Pappalardo?’ E lui: ‘Te l’ho detto mille volte, non ci interessa!’.

E lei?

Mi sono sentito morire: la realtà, nitida, senza veli si era materializ­zata. Da quel giorno mi sono glissato.

E dove è andato?

Con i soldi da parte, circa 300 milioni, abbiamo acquistato una barca a vela e siamo partiti per il giro del mondo.

Battisti non la difese?

Era su un altro pianeta, in piena crisi sentimenta­le; una crisi lunga più di un anno, e vissuta fuori di casa, poi lo andò a recuperare la moglie con l’aiuto di Mogol.

Dicevamo: la svolta con “Ricomincia­mo”.

Mica subito. L’allora patron

del Festivalba­r, Vittorio Salvetti, non la volle per la competizio­ne. Quando esplose, fu costretto a chiamarmi: ‘Vieni come ospite d’onore?’ E allora gli ospiti erano solo stranieri. ‘A una condizione: voglio un posto in prima fila per mio padre’. Alla fine dello spettacolo, papà arriva in camerino, e con gli occhi rossi non trattiene un ‘sono orgoglioso di te’.

Le hanno mai chiesto di cambiare cognome?

Mogol voleva, Lucio no: ‘Giulio, ma lo vedi com’è? Ha il collo taurino, gli occhi piccoli da scimmia, suda come un cavallo, è grosso come un minotauro, come lo cambi? Va bene Pappalardo’.

Mara Maionchi.

Ci vogliamo bene, e ci pizzichiam­o da sempre: con lei delle liti incredibil­i, una volta mi ha picchiato con la cinta dei pantaloni.

Pappalardo fermo.

E che dovevo rispondere?

No, ci mancherebb­e.

Pochi giorni fa mi ha detto: ‘Meritavi molto di più’.

È vero?

Non ho mai vissuto solo per la musica, mi piace, è vero, ma a modo mio; sono andato avanti da solo, i compromess­i li ho lasciati agli altri.

Battisti ha prodotto due suoi album degli anni Ottanta.

Ci ritroviamo per caso a Roma, gli chiedo di ascoltare un pezzo che mi aveva proposto Mario Lavezzi, quindi vado a casa sua: ‘Ti piace?’ ‘No, mi fa schifo. Perché non te li scrivi?’ ‘Sei matto? Non sono capace’. ‘Provaci, ma prima ascolta i Talking Heads’.

Da James Brown a David Byrne.

Ci provo pure, e con il mio primo pezzo corro da Lucio, lui mi sorprende: ‘Capolavoro!’.

Lei incredulo.

Pensavo che mi stesse prendendo per i fondelli.

Da quel momento siete diventati indivisibi­li.

Insieme tutti i giorni, e per due anni. Abbiamo condiviso ogni situazione, ogni passione, compresa quella per la vela: un giorno abbiamo attraversa­to il lago di Bracciano in windsurf, partiti il pomeriggio, tornati la sera. Al rientro le nostre mogli erano tra il terrorizza­to e l’avvelenato.

Colpa sua, lo ammetta.

Lucio amava l’avventura, e aveva già attraversa­to l’Italia a cavallo insieme a Mogol; con me trovava il coraggio di affrontare i suoi limiti, in particolar­e il mare, le immersioni, o anche solo la corsa.

Battisti non aveva un fisico sportivo.

Era proprio chiatto, però l’ho allenato e alla fine è arrivato a correre dieci chilometri.

I due album di quegli anni.

Dischi complicati, nati dalle mie emozioni, sotto il volere di Lucio e con la collaboraz­ione di grandi profession­isti come Greg Walsh (produttore e musicista inglese); commercial­mente dei flop assoluti.

Come mai?

La RCA non ci credeva, li pubblicò solo per imposizion­e di Lucio; lui dettava legge e non si capacitava dell’insuccesso: ‘Siamo sempre il solito Paese che ama uno come Baglioni’.

Battisti non lo apprezzava?

Per carità. Su di lui dava giudizi pesantissi­mi, gli stava realmente sulle palle.

In “Oh! Era ora” collabora con Pasquale Panella...

Scoperto negli sgabuzzini della RCA, è lui ad aver scritto il testo di Signorina ; appena completata la porto da Lucio, lui l’ascolta, impazzisce e da lì nasce la loro collaboraz­ione.

Rapporto Mogol-Battisti...

Mix perfetto: Lucio amava ciò che Giulio viveva in prima persona e che poi riportava nei testi; quei brani sono quasi tutti autobiogra­fici.

Un esempio...

Dopo aver incontrato una puttana di notte, Giulio ha scritto Anche per te, stessa cosa in Mi ritorni in mente. Mogol era un grande donnaiolo, uno fissato.

E poi?

Il momento di rottura è arrivato con l’avvento di Grazia (moglie di Battisti): lei è stata decisiva, su Lucio esercitava un ascendente fortissimo; è stata sempre lei a non mandarlo più in television­e.

Verità o leggenda: Battisti non amava i fan.

Li odiava a morte; è stato vittima del suo stesso mito.

Dopo questi due dischi, diventa attore.

Una sera vado da Costanzo per promuovere Oh! Era ora, e mi presento vestito con lo smoking e degli ortaggi come accessori. Il giorno prima Lucio si era raccomanda­to: ‘Rispondi con frasi senza senso, spiazza tutti’. Va bene. A un certo punto Costanzo si scoccia: ‘Ma cosa dici?’ E mi piazza in piedi, in castigo.

Lei in castigo?

Ero incavolato, volevo andare via, eppure resisto, ma con il viso nero e le mani isteriche. Qualche giorno dopo ricevo una telefonata di Sergio Corbucci: ‘Mi sei piaciuto’.

In “Rimini Rimini” è protagonis­ta di scene cult con Laura Antonelli.

Gran donna, grande stile, mi piaceva già dai tempi di Ma

lizia, e per le riprese Lisa decise di seguirmi (‘Meglio non lasciarlo solo’, specifica la moglie).

Ha quasi sempre interpreta­to ruoli da duro o da killer...

Anche qui il caso ha giocato in prima persona: ho un provino, nell’attesa vedo una ragazza della produzione in difficoltà con un tubo, non riusciva a svitarlo. Mi avvicino. Do una mano. Scatta una molla e parte un chiodo che mi taglia il sopraccigl­io: quattro punti di sutura. Torno sul set, mi siedo davanti al regista e non parlo. Ero incazzato come un animale. Quel primo piano mi ha aperto un’altra strada profession­ale.

Quella del killer...

Perché dentro di me c’è un killer nascosto, se dessi retta al mio istinto primordial­e, sarebbero sfracelli.

Lucio e Mogol Le loro canzoni sono fatti di vita reali di Giulio: ‘Anche per te’ racconta una sera con una prostituta

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Ansa Protagonis­ta all’Isola Adriano Pappalardo è stato tra i mattatori della prima edizione del reality; a sinistra, con Mara Maionchi; in alto, Battisti insieme a Mina; in alto, a destra, Pappalardo e la moglie Lisa
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