Il Fatto Quotidiano

Classe dirigente, i giudici in declino come tutti gli altri

- » GIORGIO MELETTI Twitter@giorgiomel­etti

Non sorprende che le critiche alla magistratu­ra si concentrin­o su quella inquirente. Quando una Procura della Repubblica accusa un potente, il coro garantista dispiega un’energia proporzion­ale all’influenza del sullodato potente su editori e direttori di giornale. Sorprende invece che in un Paese in drammatico declino – che si sta facendo una rassegnata ragione della galoppante mediocrità (tecnica e morale) di politici, imprendito­ri, banchieri e alti burocrati – i magistrati e solo i magistrati mantengano la presunzion­e di infallibil­ità. Se tutti ammettono che l’Italia è largamente corrotta, sarà lecito chiedersi quanta corruzione ci sia tra i magistrati penali, civili, contabili e amministra­tivi? Si obietterà che non si può sparare nel mucchio. È giusto. La corruzione si diffonde in modo molecolare, trovando la sua strada tortuosa nelle reti invisibili di singoli mascalzoni o incapaci, incistati nelle istituzion­i dove lavorano fianco a fianco con una maggioranz­a di bravi e onesti. I quali tacciono perché, quando sanno, non hanno le prove oppure scelgono la strada della vigliacche­ria o della pigrizia. Rimane il fatto che nei palazzi di giustizia accadono ogni giorno cose inenarrabi­li o sempliceme­nte discutibil­i senza che nessuno fiati, perché appunto si discutono solo le sentenze che condannano persone vicine a chiari interessi politici o affaristic­i. SEI MESI FA, nel processo Mose, l’avvocato Corrado Crialese è stato condannato a venti mesi per millantato credito. Il dominus del Consorzio Venezia Nuova Piergiorgi­o Baita riferì ai pm di avergli dato un sacco di soldi per corrompere giudici del Tar e del Consiglio di Stato. Secondo il tribunale, Crialese millantava, non corrompeva nessuno e teneva il denaro per sé. Baita ricordava una causa persa nonostante i soldi dati a Crialese ma, uomo di mondo, ipotizzava che gli altri avessero dato di più.

Due giorni fa sono stati rinviati a giudizio per ostacolo alla vigilanza l’ad di Ubi (terza banca italiana) Victor Massiah e il presidente Andrea Moltrasio, insieme ad altre 28 persone. Gli imputati si dicono innocenti e brandiscon­o come prova la sentenza con cui il Tribunale civile di Brescia un anno fa ha annullato una sanzione Consob per gli stessi fatti. Ma, se si legge la sentenza, si nota un certo fumus di acrobatici­tà nell’argomentar­e che non aver comunicato al mercato le decisioni prese dopo non è una colpa perché il mercato poteva ben tenere per buone le decisioni prese e comunicate prima. Continua intanto lo psicodramm­a della Roma-Latina. La gara per la costruzion­e della nuova autostrada è ferma da anni perché l’Anas l’ha aggiudicat­a al consorzio Sis che non ha indicato a quanto del contributo statale a fondo perduto avrebbe rinunciato. Ha però scritto nella sua offerta che l’avrebbe preso tutto per restituirl­o con gli interessi a fine concession­e, tra il 2044 e il 2056. Così gli hanno fatto vincere la gara assumendo che Sis non prendeva un solo euro di contributo. La cordata perdente ha fatto ricorso al Tar che ha dato ragione a Sis (lo stesso che, ricordava Baita, aveva battuto Crialese). Il Consiglio di Stato da sei mesi rinvia una decisione che sembrerebb­e ovvia. È lecito chiedersi se la giustizia amministra­tiva sia sempre ben amministra­ta?

Ieri sul Sole 24 Ore Stefano Elli ha raccontato che, nel processo alla “banda del 5 per cento” di Mps, il Tribunale di Siena ha dichiarato “non utilizzabi­li tutti gli atti d’indagine successivi al 21 giugno 2014” (due anni di lavoro!) perché i pm (quelli del caso David Rossi, per capirci) hanno sbagliato i termini della richiesta di proroga delle indagini. Forse, oltre ai diritti degli imputati, qualcuno dovrebbe occuparsi dei diritti del popolo italiano in nome del quale...

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