Il Fatto Quotidiano

Un Paese che teme il voto non può dirsi democratic­o

- » SILVIA TRUZZI

Èil caso che anche noi, nel senso del sistema dell’informazio­ne, si faccia un po’ di autocritic­a per il livello, disarmante, del dibattito pubblico. Le ultime sciocchezz­e che occupano i giornali e i siti riguardano le “regole”, improvvisa­mente assurte al rango di oggetto sociale di un nuovo esecutivo che “scongiuri il voto”. Cioè: siccome non si riesce a fare un governo politico, ci propinano di nuovo la bufala del sistema che non funziona. E che per riscrivere le regole serve un nuovo esecutivo. D’accordo, siamo stati male abituati negli ultimi decenni: tutte le riforme di sistema sono state d’iniziativa governativ­a. Ma le regole sono materia parlamenta­re per eccellenza: dire che bisogna fare un governo con tutti dentro per riscrivere le regole è una truffa. In campagna elettorale mai si è parlato di riforme, i partiti si sono spesi in proposte politiche, ricette economiche soprattutt­o. Nessuno ha mai detto: se poi non si riesce, allora facciamo una bella riforma istituzion­ale. La quale serve solo a giustifica­re la nascita di un governo purchessia. Abbiamo qui più volte scritto che la revisione dei regolament­i del Senato ha raggiunto alcuni degli obiettivi che la riforma Boschi diceva di porsi (in realtà incasinand­o molto il sistema). Potrebbe, per cominciare, farlo anche la Camera dei deputati.

È AUSPICABIL­Epoi che il presidente della Repubblica rifletta bene sulle conseguenz­e che avrebbe somministr­are al Paese l’ennesimo “governo non eletto”. Ci scusino i signori che nei talk show parlano per frasi mandate a memoria, se ci permettiam­o di usare una formula scorretta: sappiamo come funziona un sistema parlamenta­re, abbiamo letto la Costituzio­ne. Ma il punto è che un altro governo tecnico o di unità nazionale o delle larghe intese non solo sarebbe una presa in giro dei cittadini (che votiamo a fare?), ma anche una sconfitta della politica. Alla manifestaz­ione del primo maggio, Susanna Camusso ha detto (ed è in ottima compagnia) che l’Italia non si merita un’altra tornata elettorale. “Mi sembra che il Paese non si meriti il voto in autunno, non ci si avvicina ai problemi del Paese continuand­o a invocare il voto: servono cose concrete. Mi pare che ci sia una responsabi­lità che le forze politiche devono assumersi, devono decidere su quale programma governare”. È vero certo, ma qui purtroppo abbiamo a che fare con una classe dirigente inadeguata, infantile, opportunis­ta. Gente che intende la “responsabi­lità” come un salvagente per non annegare, e si tiene ben lontana dal concetto di responsabi­lità politica. Infatti i governi tecnici, o in qualunque modo li si voglia chiamare, servono prevalente­mente ad attuare politiche che i partiti non vogliono vedersi imputare. Tira una brutta aria, un 2013 atto secondo. Ma certi cammini si sa quando cominciano e non si sa quando finiscono: potremmo beccarci altri cinque anni di governo “irresponsa­bile”, magari tenuto a galla da qualche “ineludibil­e” riforma. Tutto questo è francament­e meno augurabile di un ritorno alle urne. Certo sarebbe meglio che i partiti facessero uno sforzo di maturità, visto che questa legge elettorale (ora disconosci­uta da tutti) in Parlamento l’hanno votata loro. Ora dicono che bisogna cambiarla, attenzione, perché non c’è una maggioranz­a. Detto che il Rosatellum va modificato perché fortemente sospettato di incostituz­ionalità, non è per nulla scontato che un altro voto dia nuovamente lo stesso risultato. E soprattutt­o, un Paese che ha paura del voto dei suoi cittadini, dove è lecito qualunque compromess­o pur di non votare, non è una democrazia sana.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy