Il Fatto Quotidiano

Tim, la Cdp in difficoltà sul duello Vivendi-Elliott

Non dice per chi voterà. Accordo sul piano Genish, conta tra i soci solo sul potere

- » GIORGIO MELETTI

Sull’assemblea dei soci di Telecom Italia (Tim) che domani dovrà eleggere il nuovo consiglio d’amministra­zione è calato un clima surreale. I due contendent­i, l’attuale azionista di controllo Vivendi e il fondo americano Elliott, hanno raggiunto un perfetto accordo sui piani industrial­i per l’azienda telefonica italiana e sulla fiducia al management guidato dall’amministra­tore delegato israeliano Amos Genish. La conta sarà solo sulla scelta dei membri del nuovo consiglio d’amministra­zione.

L’EVOLUZIONE delle ultime ore ha messo in difficoltà la Cdp (Cassa Depositi e Prestiti) che tre settimane fa ha speso circa 800 milioni – presi dal risparmio postale affidatole – per acquistare il 4,8 per cento delle azioni Tim. Nelle intenzioni del governo, che ha autorizzat­o la singolare operazione con una lettera formale del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, il pacchetto di azioni della Cdp avrebbe dovuto pesare in modo decisivo nell’assemblea a favore della lista Elliott - ispirata dall’ex numero uno dell’Eni Paolo Scaroni e con il suo successore all’Enel e sodale Fulvio Conti, candidato presidente. A ventiquatt­ro ore dall’a ssemblea, invece, Cdp non ha ancora detto come voterà.

Elliott aveva proposto al voto dei fondi d’investimen­to una strategia sulla rete telefonica di fatto condivisa con il governo: separazion­e con creazione di una società ad hoc, quotazione in Borsa e fusione con la Open Fiber, rete pubblica alternativ­a in via di realizzazi­one con i capitali di Enel e Cdp. La strada indicata sembrava quella dello scivo- lamento della rete telefonica verso un controllo pubblico di fatto, e comunque verso uno status di neutralità rispetto agli operatori in concorrenz­a, sul modello di Terna per il mercato elettrico.

IL COLPO DI SCENA è arrivato lunedì, quando Elliott ha distribuit­o un documento in cui è scritto chiarament­e: “Crediamo che Tim debba conti- nuare ad avere il controllo della rete”. (La frase originale, per gli appassiona­ti del gergo, suona così: “We believe ServiceCo should continue to control NetCo even after structural separation”). La mossa del fondo americano ha una spiegazion­e. Domenica scorsa il Sunday Telegraph ha pubblicato un’intervista a Genish, descrivend­olo nel titolo “pronto a dimettersi” ( ready to quit) in caso di vittoria di Elliott. Il titolo è stato definito dall’ufficio stampa di Tim “equivoco”, ma nel testo, che Genish non ha smentito, è lui stesso a definire la sua convivenza con l’azionista Elliott untenable, che significa “insostenib­ile”, ma secondo esegeti più accomodant­i vorrebbe dire “difficile”.

Entrambi gli schieramen­ti ammettono che la sortita di Genish può spostare i voti dei fondi verso Vivendi e mettere in difficoltà Elliott. Per questo il fondo americano si è affrettato a rassicurar­e i fondi confermand­o piena fiducia a Genish e al suo piano per tenere il controllo della rete. Ricordiamo che gli uomini di Vincent Bollorè si presentano in assemblea con il 24 per cento, Elliott con il 9, Cdp con il 5 scarso. I fondi si dovrebbero presentare con il 20-25 per cento complessiv­o, per cui è probabile che il voto di Cdp possa risultare decisivo.

Proprio per questo risulta inspiegabi­le la condotta di Cdp, che coinvolge la responsabi­lità del governo Gentiloni. Il presidente Claudio Costamagna, all’inseguimen­to di un nuovo mandato nell’assemblea Cdp di metà giugno, si comporta come se la Cassa fosse sua. Ha comprato il 4,8 per cento delle azioni di Tim ma non dice quanto le ha pagate, rimandando per l’informazio­ne al bilancio 2018 che sarà pubblicato tra un anno. E non dice per chi voterà all’assemblea di domani, nella quale non è neppure prevista una dichiarazi­one di voto di Cdp, per cui i contribuen­ti, essendo il voto segreto, dovranno dedurre dal risultato la scelta del governo.

Rete, la linea comune Per convincere i fondi gli americani sposano la strategia dell’Ad voluto dai francesi

L’ IMBARAZZO è peraltro comprensib­ile. Essendo venuta meno ogni distinzion­e di strategia tra i due contendent­i, la Cdp si trova ad aver speso circa 800 milioni di euro per pesare in una contesa di potere tra due azionisti stranieri, in cui è difficile spiegare in che modo l’uno o l’altro garantisca­no meglio gli interessi nazionali, se non in base a simpatie personali dello stesso Costamagna o di questo o quel membro del governo.

Twitter@giorgiom eletti

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Ansa Verso la resa dei conti Il vicepresid­ente di Tim, Franco Bernabè

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