Il Fatto Quotidiano

Kamikaze anti-elezioni l’Isis comanda in Libia

Assalto alla sede della commission­e per il voto: 14 morti. Nel paese non ci sono le condizioni, ma Francia ed Egitto spingono per le urne

- » ANDREA VALDAMBRIN­I

Un

gruppo di miliziani, tra cui due attentator­i suicidi, ha colpito il quartier generale della commission­e elettorale a Tripoli. Almeno 14 vittime e oltre 20 feriti. Prima di farsi saltare in aria, gli attentator­i hanno avuto uno scontro a fuoco con il personale di sicurezza, riuscendo a incendiare l’edificio. Il palazzo risulta quasi completame­nte distrutto, e con esso i registri elettorali preparati in vista del voto che dovrebbe tenersi entro l’anno, con i dati di almeno un milione di nuovi elettori.

Per la blindata capitale del governo di Fayez al-Sarraj, sostenuto dall’Onu (e dall’Italia), si tratta di uno dei più gravi attentati dalla fine del regime di Gheddafi, simile nelle modalità all’attacco del 2015 contro il Corinthia Hotel di Tripoli, frequentat­o da funzionari del governo libico e dell’Onu. “Un’azione pensata per instillare sconcerto e paura, non solo in Libia, ma nei confronti di tutta la comunità internazio­nale”, commenta alla tv panaraba Al Jazeera l’analista politico libico Anas El Gomati, che si dice anche sicuro di come l’attentato sia riconducib­ile, come nel 2015, alla responsabi­lità dell’Isi s. L’organizzaz­ione jihadista rialza la testa per mostrare di essere ancora capace di agire e condiziona­re la vita politica di un Paese diviso, fragile e privo di un governo riconosciu­to da tutti. In Libia sono presenti due parlamenti, quello del Tripoli e quello di Tobruk a est e il Paese rimane diviso tra l’autorità del governo Serraj e le milizie legate al generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica, da poco rientrato a Bengasi dopo essere stato dato ad- dirittura per morto mentre era in ospedale a Parigi.

“La modalità dell’attentato indica la matrice jihadista – sia essa provenient­e da Isis che da Al Qaeda - e l’intento è chiaro: far deragliare le prossime elezioni”. Arturo Varvelli, ricercator­e dell’Istituto per gli studi di politica internazio­nale (Ispi) di Milano e autore di Dopo Gheddafi: democrazia e petrolio nella nuova Libia (2012) e Foreign actors in Libya crisis (2017) .

Il fantasma-Haftar L’uomo-forte di Bengasi, pur malato, cerca la consacrazi­one popolare

È OPPORTUNO ANDARE AL VOTO in un Paese dilaniato dalla guerra tra milizie? “Non sempre le urne sono sinonimo di democrazia, come dimostrano i casi di Iraq o Afghanista­n. Le scorse consultazi­oni libiche, tenute nel 2014, hanno portato a una forte polarizzaz­ione, non certo alla convergenz­a tra le parti in conflitto”, ragiona lo studioso. Affinché le elezioni siano dav- vero democratic­he, occorrono una serie di passaggi preparator­i e intermedi, che al momento non sono visibili.

Ma chi ha interesse ad andare al voto? “In particolar­e due importanti attori internazio­nali come Francia ed Egitto. Nonostante i problemi di salute, il generale Haftar, sostenuto con forza sia da Parigi che dal Cairo, è convinto di potere emergere come leader in grado di centralizz­are il potere, se legittimat­o dal consenso popolare”, osserva Varvelli.

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Ansa Boicottagg­io La sede elettorale devastata

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