“Questo romanzo sul terrore è senza firma per paura”
Uno scrittore, uno pseudonimo e il timore di ritorsioni
Il manoscritto de “La colpa” è capitato nelle mani di uno scrittore italiano e, attraverso di lui, a quelle di un editor. Racconta la storia di un ragazzo egiziano che, al culmine di una crisi personale, decide di farsi esplodere a Milano. Nessuno sa chi l’a bb ia scritto, neanche la casa editrice, DeA Planeta, che ha deciso di pubblicarlo. Ghirghis Ramal non esiste. O meglio, esiste ma questo non è il suo vero nome. È lo stesso autore a spiegare ai lettori del Fatto il perché della scelta dello pseudonimo.
Come un giallo psicologico che indaga quei rarissimi casi nei quali si diventa omicidi e perché, La colpa è un romanzo di pura finzione che ricostruisce l’ipotetico contesto sociale e storico che rende possibile la nascita di uno spietato terrorista. Ho voluto scriverlo dal punto di vista dell’immigrazione islamica, perché è il mio ambiente, quella voce mancava e mi sembrava la sola in grado di dire qualcosa di nuovo e di difendersi da accuse infondate.
L’ISLAM INTRISO
di fanatismo però non tollera la molteplicità di visioni o le critiche, nemmeno letterarie. In occidente le spaccia per islamofobia, nei Paesi musulmani mette alla berlina, se non a morte, chi osa anche solo porre dubbi su un credo che viene interpretato come assoluto quanto il potere che vi si appoggia. Spesso vivo proprio in uno di questi Paesi e, per salvaguardare me e soprattutto i miei familiari e amici musulmani, ho usato uno pseudonimo. Credo profondamente, poi, che in questo periodo di s e lf ie , di narcisismo e di personalismi, non mettersi in mostra sia da considerarsi rivoluzionario.
Ho scritto La colpa perché, dopo gli attentati di Parigi del 2015, mi sono reso conto che i terroristi avevano un vissuto simile a molti immigrati musulmani che ho conosciuto nel corso degli anni. Giovani che, dopo una vita di stravizi o di piccola delinquenza, forse perché poco scolarizzati o perché provenienti da Paesi non abituati alla modernità e alle sue contraddizioni, riabbracciavano l’Islam spinti da un profondo senso di colpa per aver rinnegato la propria cultura, i propri costumi e i propri doveri familiari che nei Paesi di origine sono invece ben codificati. Sentendosi perduti, corrotti da alcol, sesso facile o droga, cercavano la salvezza nella reli- gione, sovente trovandola.
Molti sono diventati persone migliori, mentre alcuni, dopo la conversione, scaricavano la responsabilità del proprio passato sulle tentazioni del luccicante mondo occidentale, troppo libero, magari arrivando a disprezzarne i valori liberali, così in contraddizione con quelli della loro educazione. A volte rintanandosi nel proprio ambiente, protestando silenziosi, altre contestandoli apertamente, ma mai supportando gli attentati, conside- rati, anzi, anti islamici.
Qualcuno forse è giunto a giustificarli, come nel caso della strage di Charlie Heb
do per l’offesa al Profeta, ma a nessuno di loro è mai passato per la testa di trasformarsi in un infame assassino di innocenti.
SE LA RICETTAdi
una bomba comporta varie sostanze chimiche e un detonatore, quella per trasformare un giovane in un criminale pri- vo di compassione in nome di Dio implica circostanze, eventi drammatici, magari fortuiti, che rendano il soggetto debole al punto da essere facilmente persuaso che abbracciare una fede non serve solo a redimere se stessi ma a salvare il mondo. Che significhi identificarsi con Dio stesso, con la sua volontà, diventare la sua mano in terra. Con quella dose di presunzione e narcisismo necessaria ai terroristi di ogni epoca o ideologia.
Se per confezionare un ordigno, poi, serve un lavoro paziente e certosino, altrettanta perizia necessita saper sfruttare la disperazione per convincere che l’umanità intera debba essere salvata, e meriti il disprezzo e l’odio che il potenziale attentatore suicida prova verso se stesso. Certo Islam politico queste doti le ha. Innanzitutto perché una visione dell’Islam fondata su un’interpretazione letterale del sacro Corano è maggioritaria rispetto all’Islam laico e storicizzato. Lo è in quanto prevale tra i regimi musulmani, nel “clero” e anche negli strati meno colti della popolazione. Però l’Islam viene vissuto e praticato in modo laico e moderno da milioni e milioni di musulmani che non hanno rappresentanza nei media ufficiali o sono addirittura zittiti in patria. Proprio recentemente un giovane egiziano, che si è dichiarato ateo in tv, è stato cacciato e minacciato di ricovero psichiatrico. Anche in Europa si preferisce interloquire coi religiosi piuttosto che con gli intellettuali critici.
NEL MONDO
gl obal izza to, dove tra guerre, rivoluzioni, ingiustizie, discriminazioni, razzismi e sfruttamenti amplificati dai social, prevale la paura per il cambiamento e dove la politica sembra incapace di dare risposte, è gioco facile propugnare una filosofia intrisa di nichilismo, di disprezzo per la modernità e usarla come propaganda per raccogliere adepti. La complessità in cui viviamo, sebbene ultimamente la si preferisca schematizzare in maniera manichea, consiste in molteplici variabili che solo un romanzo è in grado di rappresentare.
L’ORIGINE “Dopo gli attacchi di Parigi ho capito che i terroristi avevano un vissuto simile a molti immigrati che ho conosciuto negli anni”