Martina & C., resa ai piedi di Renzi Mattarella furioso
Il reggente si accoda all’intervista tv dell’ex leader: no al M5S. Al Colle consultazioni finali per lunedì
Il Pd approva all’unanimità la relazione di Maurizio Martina. Finisce così, nella migliore tradizione dei Democratici, l’ennesima resa dei conti. Annunciata e non consumata. Stavolta il partito è andato così vicino alla spaccatura da mascherarla al punto da non far registrare neanche un’astensione o un voto contrario, come sempre accaduto, anche in presenza di una maggioranza bulgara. La mediazione è stata complessa ed è andata avanti per 48 ore, sotto la regia di Lorenzo Guerini. Alla fine, Renzi ha vinto nella sostanza. La relazione del Reggente ricalca il pensiero espresso dall’ex segretario domenica sera da Fabio Fazio: no a un governo con i Cinque Stelle e con il centrodestra (Martina esplicita il no anche a Berlusconi, Renzi si era fer- mato a Salvini), “spirito costruttivo” davanti al presidente della Repubblica (Renzi aveva proposto un governo istituzionale per fare le riforme). Ma Martina, Dario Franceschini e i big anti- renziani hanno segnato un punto, costringendo l’ex premier a votare la fiducia al Reggente, dopo averlo delegittimato. E facendo ritirare allo stesso Guerini l’ordine del giorno che avrebbe voluto far votare al posto della fiducia (un aggiustamento del documento “anti conta” preparato lunedì, che comunque nei contenuti ricalcava le parole di Martina). Ma che sia una vittoria di Pirro lo dice il fatto che Martina avrà la guida del partito fino all’Assemblea. Che sarà “entro maggio”, come annuncia Guerini. Dunque, durerà solo qualche settimana.
PROPRIO nelle pieghe delle parole e dei tempi si consumeranno le battaglie prossime all’interno del Pd. Quella di ieri è una tregua armata, un incontro tra debolezze. I big arrivano al Nazareno verso le 15. Molto nervosismo all’entrata. Gianni Cuperlo viene aggredito da un militante renziano (“Vai a casa! Tu devi rispettare il segretario”). L’ex premier entra dall’ingresso laterale, si siede in seconda fila e sceglie di non intervenire. Presente anche Paolo Gentiloni: nemmeno lui passa dalla porta principale.
Apre Martina, con una relazione in cui ribadisce la necessità di avere un mandato pieno per restare alla guida del partito. Pronuncia la frase chiave: “Vi chiedo di rinnovare la fi- ducia fino all’Assemblea”. I renziani fanno filtrare soddisfazione e applausi, in maniera così insistente da evocare l’idea della “resa incondizionata” del Reggente. Ed è così che Franceschini va all’attacco: “Abbiamo immaginato di iniziare un confronto con il M5S, non necessariamente di arrivare a un governo Di Maio. L’intervista di Matteo ha interrotto questo percorso per il peso numerico e politico. A quello schema ci saremmo potuti arrivare solo con il 100% dei nostri voti”. Il ministro della Cultura in questi mesi aveva dato anche qualche garanzia a Mattarella sulla possibilità di riuscire a portare tutto il Pd verso un accordo con il Movimento. Tanto che ieri non molla: “Con i Cinque Stelle in un sistema proporzionale sarà necessario dialogare”. Ma ormai se ne parla nella prossima legislatura. Andrea Orlando evoca la scissione, che è scenario di prospettiva: “Questa è l’ultima chiamata per una vera unità, altrimenti con il doppio timone rischiamo di imbarcare moltissima acqua”. I suoi ritirano un ordine del giorno, che avrebbero votato se fosse stato presentato pure quello di Guerini. Nel frattempo, rimangono i sospetti di molti dirigenti: “Matteo vuole fare il governo con il centrodestra, magari dandogli un appoggio esterno”. I contatti con Berlusconi e Salvini l’ex premier li ha tenuti per tutte queste settimane, ma la realtà è che al momento questa possibilità non gli è data. Non fosse altro per il no del segretario del Carroccio. Senza una prospettiva, neanche lui può spaccare.
LUNEDÌ la delegazione del Pd sale al Colle. Diversamente unita e d’accordo solo su un punto: cercare di evitare le elezioni, dare la fiducia a qualsiasi governo proposto da Mattarella. Ma la partita vera si farà all’Assemblea: in quella sede si eleggerà il segretario che porta il Pd al congresso. Lo stesso che farà le liste, in caso di urne.
I big si consolano Guerini costretto a ritirare il suo ordine del giorno per trovare la mediazione Abbiamo immaginato di iniziare un confronto col M5s, non per arrivare per forza a un governo Di Maio
DARIO FRANCESCHINI È l’ultima chiamata per una vera unità: col doppio timone rischiamo di imbarcare tanta acqua
ANDREA ORLANDO