Gentiloni è sempre lì: ancora nomine tra Tesoro e Polizia
Il premier ha il “gradimento” a termine di M5S e Lega: intanto conferma i vertici di Tesoro e Polizia e punta la Rai e la Cdp
APalazzo Chigi non disfano gli scatoloni. Non li hanno riempiti mai. Il premier Paolo Gentiloni aspetta e governa, che poi le attività s’intrecciano da dicembre in un ampio tempo di “affari correnti”. Adesso che l’ingorgo politico – tra veti e finte – ha ridotto le ipotesi di sbocco per Sergio Mattarella, a Palazzo Chigi non resta che decifrare i segnali dei partiti e capire, scrutando il Colle, se tocca ancora a Gentiloni scortare l’Italia al voto tra l’estate e l’autunno.
PER SINTESI, lo sguardo di Chigi è rivolto ai gruppi in ascesa dal 4 marzo. I Cinque Stelle preferiscono l’attuale presidente a un “terzo nom e” per un esecutivo di maggioranza trasversale con una data di nascita definita e una data di scadenza indefinita. I leghisti di Salvini professano responsabilità, simulano tentativi disperati di formare un esecutivo: nient’altro che prodromi di campagna elettorale. Così Gentiloni prepara la seconda edizione del governo che giurò in un anonimo lunedì di pioggia, il 12 dicembre 2016, a una settimana dal fallimentare referendum costituzionale.
Il Quirinale ha l’onere di scovare la formula più adatta per raggiungere le urne. Quella che contempla Gentiloni si lega a una scontata permanenza in blocco dei ministri per non caricare di valore politico un governo che fa da ponte tra due ele- zioni in un anno. C’è sempre, però, un “affare corrente ” da gestire. Il metodo Gentiloni funziona, o almeno non ha scatenato veementi proteste: in sintonia col Quirinale, il presidente decide e coinvolge i capi dei partiti ( vedi la complessa proroga dei servizi segreti o la posizione italiana sui bombardamenti degli alleati in Siria). Fa chic e non impegna Di Maio, Salvini & C. E già la prossima settimana, per esempio, si spalanca una densa agenda di nomine – valida da qui a giugno – con un Consiglio dei ministri che riguarda il Tesoro e la Polizia.
AL MINISTEROdi Pier Carlo Padoan considerano naturale il rinnovo di almeno sei mesi per Daniele Franco, ragioniere generale dello Stato e Vincenzo La Via, direttore generale del dicastero. La coppia che muove gli ingranaggi del Tesoro e del bilancio pubblico – detestata da Matteo Renzi per le catastrofi bancarie e il rigore sui conti, ma benedetta d al l’asse Ignazio Visco (Bankitalia) e Mario Draghi (Bce) – è in carica fino a metà maggio. L’ultima volta, il 13 marzo 2017, fu riconfermata alla vigilia di una clamorosa uscita – da quei ruoli si decade entro tre mesi dall’insediamento di un nuovo governo – dopo le tensioni fra renziani e Gentiloni. Per disinnescare guai, ora Chigi agisce al limite. Qualche giorno di serena attesa per Fran- co Gabrielli, prorogato di un anno – il mandato è terminato il 29 aprile – alla guida della Polizia. Più delicati i dossier su Cassa Depositi e Prestiti (20 giugno) e televisione pubblica ( fine giugno). Il cambio sarà totale.
IL PRECEDENTE che fa scuola rimanda alla scelta di Mario Nava a Consob, dopo il settennato di Giuseppe Vegas: figure imparziali con carriere adatte per non irritare né i Cinque Stelle né il variopinto mondo di destra. Di Maio e Salvini spingono per azzerare gli attuali vertici di Cdp e, soprattutto, Rai. Poche speranze per l’amministratore Fabio Gallia e il presidente Claudio Costamagna, nonostante l’avventuroso ingresso di Cdp in Telecom – apprezzato dal Movimento – per riconsegnare la rete telefonica allo Stato. Zero speranze per il dg Mario Orfeo, considerato ostile dai grillini sin dall’epoca del Tg1, mentre i leghisti – di fatto estromessi da Viale Mazzini – studiano un massiccio ritorno. Con la riforma renziana, al Tesoro – e dunque forse a Padoan – spetta la designazione di un paio di consiglieri (la legge non è chiara) e dell’amministratore delegato, ma il presidente di Viale Mazzini deve ottenere il consenso dei due terzi della commissione di Vigilanza. Un’investitura troppo larga pure per le abilità politiche di Monica Maggioni.