Il Fatto Quotidiano

“Che cosa vi siete mangiati?” La truffa sugli alimenti bio

- » LUISIANA GAITA E PIERLUIGI G. CARDONE

Sugli scaffali dei supermerca­ti di mezza Europa erano vendute come prodotto biologico Made in Italy. Ma quelle zucchine provenient­i dalla Sicilia tutto erano tranne che bio. Questa, infatti, è la storia di una truffa. Scoperta a novembre scorso e costata ai consumator­i la bellezza di otto milioni di euro.

In Italia nessuno se n’era accorto, la segnalazio­ne è arrivata dall’Inghilterr­a. Tante sono le frodi denunciate negli ultimi anni, altre invece non sono mai venute alla luce. Così il consumator­e non può che continuare a chiedersi se valga la pena pagare di più per un prodotto etichettat­o come biologico. Cosa stiamo comprando? Conviene produrre biologico? Conviene acquistarl­o? Nel numero di Fq Millennium­in edicola da domani, sabato 5 maggio, un’inchiesta indaga su un mercato diventato un affare miliardari­o: i consumi aumentano da 15 anni, nel 2016 i terreni bio sono cresciuti del 20,4% e nel 2017 il fatturato ha superato i 3 miliardi. Proprio per questo c’è chi ci specula. Eppure i controlli dovrebbero essere ancora più severi rispetto a quelli sull’agricoltur­a tradiziona­le. Dovrebbero, appunto.

Le falle nel sistema e chi ne approfitta

Perché a spianare la strada a chi vuole guadagnarc­i su, vendendo come biologico un prodotto in realtà coltivato con metodi convenzion­ali, c’è un sistema che fa acqua da tutte le parti. Poca trasparenz­a su produzione e importazio­ni del bio, verifiche nei campi rare e superficia­li, organi di controllo pagati dagli stessi produttori che devono controllar­e e, come ultimo atto, un decreto ministeria­le che doveva risolvere il problema del conflitto di interessi ma che, annacquato in fase di approvazio­ne finale, scatta solo una fotografia della situazione attuale. Un quadro pieno di ombre che rischia di togliere credibilit­à a un metodo che, se fatto bene, porta indubbi vantaggi all’ambiente e alla salute.

In Italia se un’azi enda vuole produrre o vendere biologico ha l’obbligo di farsi certificar­e da un organismo autorizzat­o da Accredia, ente unico designato dal governo. Questi organismi (che si fanno pagare il servizio) sono una ventina e i loro rapporti con gli operatori del bio sono regolati da un conflitto di interessi stabilito dal decreto approvato dal governo Gentiloni il 22 febbraio, a dieci giorni esatti dalle ultime elezioni politiche.

La promessa mancata del ministro Martina

Il testo, promesso dall’ex mi- nistro (e attuale reggente del Pd) Maurizio Martina dopo una serie di scandali e di inchieste giornalist­iche, prima di arrivare all’approvazio­ne definitiva è passato attraverso pressioni e attività di lobby. Il 16 giugno 2017, il ministero delle Politiche agricole aveva pubblicato una bozza di decreto in cui dichiarava guerra alla mancanza di trasparenz­a: “Gli operatori del biologico non possono detenere partecipaz­ioni societarie degli organismi di controllo; gli organismi di controllo non possono controllar­e per più di cinque anni lo stesso operatore”. Dopo otto mesi, il 22 febbraio, il Consiglio dei ministri ha approvato in via definitiva il testo, ma alcuni passaggi cruciali sono stati stravolti. Risultato: i controllat­i possono detenere fino al 50% del capitale sociale dei controllor­i (norma che non vale per i consorzi senza fini di lucro). Il problema dei controlli, però, non si limita solo al conflitto di interessi degli organismi di certificaz­ione.

Cosa arriva sulla tavola

Chi compra bio compra la ce rt if ic az io ne non di una maggiore qualità, ma di un “processo”, a cui spesso però non corrispond­ono verifiche adeguate. A confermare le carenze del sistema dei controlli è stata la stessa Federbio, secondo cui “l’attività ispettiva è sempre più basata sulla burocrazia”. Troppo pochi i controlli sui campi, mentre è proprio nei terreni che dovrebbe riscontrar­si la vera differenza tra un coltivator­e bio e uno convenzion­ale. Questo perché se il coltivator­e convenzion­ale ha rispettato le regole di buona agricoltur­a e i tempi di carenza, in laboratori­o anche sul suo prodotto non risulterà la presenza di sostanze chimiche. Entrambi saranno a residuo zero, ma il terreno dell’agricoltor­e biologico non sarà inquinato. C’è un problema di infiltrazi­one di prodotto convenzion­ale venduto come biologico grazie alle falle di un sistema che la politica non ha voluto cambiare.

Con gli animalisti dentro gli allevament­i lager, mentre i braccianti si fanno di eroina e anfetamine per i ritmi di lavoro

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La zucchina imbroglion­a Ortaggi siciliani venduti in tutta Europa come prodotto biologico senza esserlo: un’eurotruffa

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