Dietro “IL MIRACOLO”
“Il cinema può dare forza al sangue più della scrittura”
Bisogna fare i complimenti a Niccolò Ammaniti, per quello che è riuscito a fare e, ancor più e ancor prima, ad avere. Per “il debutto dietro la macchina da presa di uno degli scrittori italiani più tradotti al mondo”, la serie in otto puntate Il miracolo, ha avuto due compagni in regia, Francesco Munzi e Lucio Pellegrini, tre al tavolo, Francesca Manieri, Francesca Marciano, Stefano Bises, nonché assoluta libertà, dall’impiego delle musiche “costose” alla scelta delle location, ripagata – è un coro di elogi – “con impegno e dedizione totalizzanti”.
Se la scrittura nella costruzione dei personaggi e nella qualità dei dialoghi, più che nell’invenzione del soggetto, si fa comprensibilmente plaudire, la regia è però monocorde, senza guizzi né una ravvisabile identità. Ammaniti che regista non è non dà un’impronta ineludibile e la sintesi con Munzi e Pellegrini si gioca al ribasso: qualche sparuto sorrentinismo qui e là non aiuta, anzi, si risolve letteralmente in un pugno di mosche. Ma da dove siamo, anzi, sono partiti? “Ero stanco di scrivere libri da solo, tendevo verso l’apocalisse”: anziché un’incipiente crisi creativa, era una lauta opportunità, prontamente apparecchiata da Wildside e Sky.
DOPO SETTE romanzi di cui cinque già adattati, l’inedita convinzione che l’audiovisivo potesse ab origine “esprimere meglio le mie idee” è sortita da una statuetta di plastica della Madonna, alta 30 centimetri, pesante 5 chili e stillante 90 litri di sangue umano al giorno. “Solo il cinema può dare forza al sangue”, per incipit iconografico, “Un culo così non me l’ero mai fatto”, per esito pragmatico, ed ecco la produzione Wildside e la serie originale Sky, dall’8 maggio in esclusiva su Sky Atlantic Hd. Il miracolo è per pochi intimi, il giovane, riflessivo e capace presidente del Consiglio Fabrizio Pietromarchi – sì, anche lui è alle prese con un referendum, ma per l’uscita dell’Italia dall’Unione europea – incarnato da Guido Caprino; la first lady Sole (Elena Lietti), un po’ tosta e un tot sballata, comunque non doma; il generale Votta ( Sergio Albelli), che per primo trova la Madonna; un sacerdote perso tra sesso e ludopatia, Marcello (Tommaso Ragno); l’em atol oga Sandra (Alba Rohrwacher), che per interrogare la scienza chiede alla fede; Clelia (Lorenza Indovina), già legata a Marcello. Ragno sconta un personaggio savraesposto, la Rohrwacher – “C e r ca v o un’ossessione e l’ho trovata negli occhi di Niccolò”– convince per come illumina l’arco narrativo, da parte sua Ammaniti sgombra il campo da assonanze di palazzo – “Non è Fabrizio un politico a cui siamo abituati, è serio, molto concentrato sul lavoro” – e sconfessa prese di posizione ideologiche: “Non entro nel merito del mio rapporto con la religione e la fede, bensì indago le reazioni dei personaggi di fronte alla madonna che piange sangue e spalanca domande”.
PIÙ APERTO, viceversa, sul fronte dell’ispirazione, da Black Mirror (la prima puntata, con il premier britannico costretto a un rapporto con un maiale in diretta tv) a The Leftlovers. Riuscirà questa serie ad avere analoga fortuna internazionale? La fama dello showrunner non si discute, il miracolo si incista bene in un’italianità da esportazione e la molteplicità di generi e registri, dal m y s te r y al s u pe r n a t u ra l al political drama, confonde le acque per scavallare confini, infine, le questioni poste da Ammaniti, “per chi piange la madonna, per l’umanità, per redimerla?”, sono valide per l’espatrio.
Sull’altro piatto della bilancia, l’irresolutezza nello stile visuale, financo nel tono: la madonna sanguinante ha trovato la sua piscina in quel di Parma, con le luci e l’ambiente giusto, e va bene, ma poi come vediamo quel che vediamo?
Non entro nel mio rapporto con la fede Indago le reazioni dei personaggi di fronte alla madonna che piange
Ero stanco di scrivere libri da solo, tendevo verso l’apocalisse Un culo così non me l’ero mai fatto