ORA LA SCUOLA DEI CIONDOLANTI DEVE RIPARTIRE DALLE SCARPE
“ESISTONO vari livelli di insopportabilità e di antipatia. Sono i maschi di dodici o tredici anni che crescono all’improvviso e, muovendosi in modo goffo e scoordinato, urtano qualsiasi cosa, rovesciando sedie o facendo cadere di continuo dal banco libri, quaderni o penne. Sono quelli che si rivolgono ai loro compagni con suoni gutturali, accompagnati da spinte e strattoni più o meno minacciosi”. CARLO CHE INSEGNA ALLE MEDIE IN ABRUZZO. DAL LIBRO DI GIOVANNI FLORIS “ULTIMO BANCO”, SOLFERINO EDITORE MI PIACE pensare che Giovanni Floris costretto (come chi scrive) a osservare e respirare continuamente gli anelli di fumo della politica, un bel giorno abbia deciso di concedersi una passeggiata di salute nella vita reale. Che sia entrato in una scuola e che passeggiando per i corridoi abbia incontrato insegnanti, genitori, alunni e, chissà, anche se stesso qualche anno fa. Lo immagino come uno studente brillante: mi sbaglierò, ma lui seduto all’ultimo banco non ce lo vedo proprio. Anche se in un racconto così ricco di umane esistenze ed esperienze alla categoria dei somari (chiedo scusa: degli studenti problematici, disagiati) non è dedicato un capitolo specifico, gli ultimi della classe fanno lo stesso sentire la loro disturbante presenza. L’elenco dei comportamenti molesti, a cura dell’insegnante Carlo, vale da solo più di qualsiasi trattato sociologico sull’età difficile. Eccone un assaggio: “Ciondolare pericolosamente su una sedia; non raccogliere mai gli oggetti fatti cadere dal banco; chiedere di andare al bagno nel momento clou di una spiegazione; dire: ‘Prof, non abbiamo capito ci rispiega?’ per evitare l’interrogazione”. Così via con altre imperdibili perle. A quanto ricordo nell’altro secolo fui uno studente piuttosto svogliato, distratto. E non so dire se per mia congenita incapacità o perché la monotonia dei suoni che giungevano dalla cattedra mi induceva allo sbadiglio, a ciondolare, a estraniarmi, a cercare le più bizzarre scuse per non essere interrogato. In un libro uscito l’anno scorso, “Coach Wooden and me”, Kareem Abdul-Jabbar, uno dei più grandi giocatori di basket di sempre, racconta del suo incontro con John Robert Wooden, maestro sublime della pallacanestro. Siamo nel 1965 e a Los Angeles la più grande squadra di matricole della storia del basket era impaziente di bere alla fonte del sapere sportivo. Mail guru esordì così: “Oggi impareremo come metterci le scarpe da ginnastica e le calze in modo corretto. Parleremo dei concetti di calze tese e di scarpe comode”. Se voleva stupire aveva fatto centro con ragazzi che credevano di essere in diritto di saltare l’alfabeto e di scrivere romanzi. Wooden non era affatto un tipo stravagante, la sua ossessione erano però le vesciche ai piedi per colpa delle quali, sosteneva, si poteva anche perdere un campionato. Mi chiedo, malo chiedo soprattutto a Floris e all’insegnante Carlo, se quegli studenti perduti potrebbero ritrovarsi in una scuola che sapesse ricominciare dai fondamentali, dalle stringhe ben strette. Da come, per esempio, dietro l’apparente astrusità di certi versi dell’Iliade o di Dante brillino scintille di vita, sentimenti passioni, emozioni che potrebbero accendere un fuoco in quelle menti intorpidite. Ma forse sono io che cerco una scusa per non aver fatto i compiti.