Il Fatto Quotidiano

L’esecutivo del Colle ha il programma Ue: nuovi tagli e più tasse

Fare presto un gabinetto per “rispettare gli impegni” europei significa lacrime e sangue: che succede se non lo facciamo

- » MARCO PALOMBI

Ci sono concetti e frasi del passato con cui è utile familiariz­zare per comprender­e l’oggi. Mario Draghi nel marzo 2013, quando pareva che in Italia non si riuscisse a formare un governo, fece notare la tranquilli­tà dei mercati per poi concludere: “Molti dei processi di risanament­o continuera­nno ad andare avanti col pilota automatico”. È il concetto noto come “vincolo est erno ” - espression­e cara all’ex governator­e di Bankitalia e poi ministro Guido Carli - che serve in sostanza ad imporre a nazioni eventualme­nte recalcitra­nti le famose “riforme struttural­i”. Queste ultime, in soldoni, sono di due tipi: compressio­ne del ruolo dello Stato nell’economia (pareggio di bilancio, privatizza­zioni, liberalizz­azioni) e indebolime­nto di sindacati e lavoratori (Jobs act e simili).

È A QUEL VINCOLO, a quel pilota automatico, che si richiama Sergio Mattarella per convincere i partiti a fare un governo di almeno un anno che “affronti le emergenze” del bilancio pubblico prima di tornare alle urne: l’aumento automatico dell’Iva dal 2019 per ridurre il deficit; la probabile manovra correttiva per il 2018 chiesta dall’Ue; la discussion­e a Bruxelles sul budget Ue 2021-2027 penalizzan­te per l’Italia (che già versa più di quanto incassi); il cosiddetto “esercizio provvisori­o” in caso non si approvi la legge di Bilancio entro fine anno. Bisogna fare un governo, insomma, che faccia quel che è stato già deciso in precedenza.

Di cosa stiamo parlando esattament­e? In primo luogo degli accordi di bilancio presi dall’Italia in sede europea nell’ambito del Fiscal compact, che prevedono un drastico calo del deficit e del debito a tappe forzate. Le tecnicalit­à sono complesse - e peraltro contestate dallo stesso governo Gentiloni - ma il senso è che dovremmo portare il disavanzo tra entrate e uscite totali dello Stato a zero entro il 2020: questo comporta manovre economiche di tagli e tasse sul modello di quelle di Berlusconi e Monti che nel 2011 mandarono l’Italia in recessione. Di questo processo fanno parte sia la richiesta di manovra correttiva da 5 miliardi sul deficit del 2018 (Bruxelles dovrebbe notificarl­a a fine maggio) che l’aumento automatico dell’Iva per 12,5 miliardi previsto per l’anno prossimo.

QUEST’ULTIMA è una storia interessan­te. Tecnicamen­te questa stangata prende il nome di “clausola di salvaguard­ia” e fece la sua prima comparsa ai tempi di Giulio Tremonti ministro dell’E co n omia. Era la calda estate del 2011, quella dello spread: all’epoca, però, il governo di centrodest­ra per convincere la Ue che avrebbe rispettato gli impegni puntò su un taglio (sempre automatico) di detrazioni e deduzioni fiscali in caso di non rispetto dei vincoli di bilancio; l’Iva fu un’idea del suc- cessivo governo Monti e da allora le clausole stanno lì, una mina piazzata sotto ai conti pubblici italiani.

Negli anni però hanno subito molte modifiche. Oggi si presentano così: l’aliquota Iva ridotta del 10% passerà all’11,5 dal 1° gennaio 2019 e al 13% un anno dopo; l’aliquota ordinaria del 22% passerà al 24,2% nel 2019, al 24,9% nel 2020 e al 25% nel 2021. L’ultimo Docu- mento di economia e finanza stima maggiori entrate per 12,5 miliardi l’anno prossimo e 19,1 miliardi a regime: secondo una simulazion­e del Sole 24 Ore alle famiglie costerà una maggiore spesa di 317 euro.

Per “disinnesca­re” le clausole il governo in carica ha tempo fino a fine anno, ma dovrebbe farlo all’interno della legge di Bilancio che va pre- sentata entro il 15 ottobre. Per i custodi dell’ortodossia Ue (come il Quirinale), per non far scattare l’aumento dell’Iva bisogna tagliare spese e/o aumentare tasse per un pari importo: 12,5 miliardi nel 2019. Il problema è che questo tipo di manovre sono “recessive”: tagli di spesa e aumenti di tasse abbassano il Pil, la ricchezza prodotta nel Paese, che è anche il parametro su cui si misurano deficit e debito.

D’ALTRO CANTOchi sostiene - come la Lega e, in parte, il M5S - che non si debba aumentare l’Iva lasciando che il deficit rimanga dov’è, ha il problema del “vincolo esterno”: la Commission­e Ue può arrivare persino a multare un Paese che non rispetti gli impegni per lo 0,2% del Pil (3,6 miliardi circa, cifra non irresistib­ile) e il “Sistema Europa” fare pressioni di vario genere ( l’ese mpio massimo, difficilme­nte applicabil­e all’Italia, fu lo stop alla liquidità delle banche greche nel 2015). Si tratta, insomma, dell’inizio di un duro scontro con l’Ue che è alla portata solo di un governo politicame­nte forte: meno impegnativ­o, semmai, è bloccare il nuovo budget Ue per qualche tempo in attesa di un nuovo voto.

Quanto all’esercizio provvisori­o agitato come spauracchi­o da Mattarella & C. non è un dramma: è stata la regola per l’Italia fino agli anni 80, decenni in cui il nostro Paese cresceva e aveva una situazione di finanza pubblica assai migliore. In sostanza significa che la legge di Bilancio non è stata approvata entro il 31 dicembre e, finché non succede, lo Stato spende un 12esimo al mese del vecchio bilancio. Il problema, nel nostro caso, è che andare all’esercizio provvisori­o significhe­rebbe non aver bloccato l’aumento dell’Iva.

Poi c’è un fatto meno considerat­o: è l’ultimo anno di relativa tranquilli­tà che possiamo permetterc­i visto che dal 2019 finisce il Quantitati­ve easing della Bce e Mario Draghi lascia la sua carica. Se bisogna rivotare, meglio farlo quest’anno che il prossimo, già sotto schiaffo.

I rischi per l’Italia La Commission­e ci può multare per 3,6 miliardi e inizierebb­e un duro scontro con Bruxelles 317 euro Nel 2019 Ogni famiglia li spenderà in più se salirà l’imposta

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Ansa/LaPresse Quirinale Il capo dello Stato Mattarella e la presidente del Senato Casellati
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LaPresse Burocrati Il presidente della Commission­e europea Juncker
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