M5S, li chiamavano già ministri Il sogno infranto dei 17 professori
Dal “giuramento” del primo marzo alla trattativa fallita: due mesi nella squadra degli aspiranti
Professori, quasi tutti, lo sono già. Ma anche gli altri andrebbero insigniti della laurea ad honorem in una particolare categoria di b u r no u t . Titolari di cattedra in una patologia dello stress finora mai conclamata: la sindrome dell’aspirante ministro. Colpisce 17 uomini e donne che 67 giorni fa, agghindati in giacca, cravatta e tailleur, salivano sul palco del Salone delle Tre Fontane dell’Eur, a Roma. Luigi Di Maio, all’epoca candidato premier dei Cinque Stelle, li chiamava uno ad uno, la musica li accompagnava nei passi, e per un paio di minuti raccontavano cosa avrebbero fatto al governo. Poi è arrivata la sera del 4 marzo e quel 32,5 per cento di voti. Tanti, ma non abbastanza per fare da soli. Così è cominciata la tarantella dei due forni, la ridda delle consultazioni, il balletto dei contratti. E loro sempre lì, perennemente indecisi se lasciarsi trascinare dal sogno, congelare carriere, mobilitare famiglie oppure rimanere inchiodati alle amarezze della realtà e fare finta che non stesse succedendo niente. Due mesi così. Che stress.
SOLO DOMENICA SCORSAdopo l’intervista di Matteo Renzi a Fabio Fazio hanno capito che era tutto finito. Fino a quel momento ancora ci speravano, eccome. Luigi Di Maio li aveva aggiornati costantemente: un po’ per rassicurarli, un po’ per invitarli a fare la tara rispetto a quello che leggevano sui giornali. Nei giorni in cui si chiudeva il forno con la Lega, in verità, la maggior parte di loro cantava vittoria. Perché quasi tutti preferivano il Pd, e al caro leader non ne avevano fatto mistero. Durante le riunioni, in questi due mesi, ognuno parlava chiaro del proprio orientamento. E poi, nei capannelli tra di loro, discutevano anche dei paletti: l’intesa con Matteo Salvini – osteggiata in particolare dai tre economisti Pasquale Tridico, Lorenzo Fioramonti e Andrea Roventini – metteva a rischio l’impianto del programma di governo che insieme avevano contribuito a scrivere. Così, quando Palazzo Chigi sembrava a portata di mano e si era capito che alla Lega qualcosa bisognava pur cedere, si discuteva di “blocchi” ministeriali su cui non si sarebbe potuto trattare. Tesoro, Sviluppo Economico e Lavoro avrebbero dovuto rimanere “coerenti”, così come Interni e Difesa. Sembrano passati secoli, da quelle discussioni. E negli ultimi giorni, quando hanno capito la mala parata, tutti hanno cercato di confortare Di Maio e dirgli che, insomma, lui l’ha gestita bene, ma è andata così.
C'È CHI, tutto sommato, si è consolato facile: oltre ai fedelissimi del capo riconfermati alla Camera, Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro, siedono oggi in Parlamento anche altri tre aspiranti ministri, tutti vincitori di un collegio uninominale. Mau ro Coltorti, che correva per le Infrastrutture, è stato eletto nella Marche e si dedica in particolare alle aree terremotate (è geologo). Emanuela Del Re, invece, si immaginava alla Farnesina. Oggi siede a Montecitorio ma, almeno pubblicamente, la sua attività è ferma ai ringraziamenti post-elettorali. È diventato deputato anche Lorenzo Fioramonti, che pare aver digerito bene la delusione governativa: gira come una trottola – rigorosamente sui mezzi pubblici - per le borgate est della Capitale (il suo collegio d’elezione) e si toglie pure lo sfizio di cantarle al Salvini che non molla Berlusconi: “Come lo spiego ai miei figli?”. Lui, insieme a Pasquale Tridico e Andrea Roventini formava la squadra economica di Luigi Di Maio, quella che l’altro ieri il bocconiano Fausto Panunzi sfotteva su Twitter: “Un pensiero commosso per i colleghi economisti che si erano prestati a entrare nel governo 5 stelle e che avevano creato la chat Let’s rule Italy”. Al di là del fallito “andiamo a comandare”, i tre keynesiani scelti da Di Maio sono quelli rimasti più attivi: li chiamano a spiegare la proposta del reddito di cittadinanza, fanno seminari e tavole rotonde, li invitano nei meet up. E rivendicano di aver riportato nel dibattito ma ins tr ea m temi da tempo condannati all’irrilevanza pubblica. Tridico e Roventini, che il 4 marzo non erano candidati, continuano a insegnare: uno a Roma, l’altro a Pisa. Lo stesso vale per gli altri due professori che correvano per Cultura e Qualità della Vita, Alberto Bonisoli e Filomena Maggino, anche loro tuttora operativi nella “divulgazione” del programma 5 Stelle. Fuori dai radar, invece, l’aspirante ministro della Sanità A rman do Bartolazzi , Alessandra Pesce (Agricoltura) e Giuseppe
Consultazioni
Il capo 5 Stelle li ha aggiornati costantemente: nelle riunioni sui due forni, in tanti preferivano il Pd Le carriere Cinque sono in Parlamento, gli altri continuano con la loro vita I più attivi restano gli economisti
Conte (Pubblica amministrazione). Il nuotatore Domenico Fioravanti, fresco papà, affoga i rimpianti nella sigaretta elettronica. Il generale Sergio Costa , che correva per l’Ambiente, continua a dirigere la Forestale in Campania, Salvatore Giuliano fa il preside all’Itis Majorana di Brindisi. Poi ci sono le professoresse della Link Campus, l’università fondata dall’ex Dc Vincenzo Scotti. Oltre alla già citata Del Re, in lizza per la Difesa c’era Emanuela Trenta che ora è impegnata soprattutto a difendere il buon nome dell’ateneo: dovrebbe preoccuparsi pure del suo profilo Twitter, infettato da una caterva di bots. Stessa disavventura toccata alla collega Paola Giannetakis, più reattiva (d’altronde a lei toccava il Viminale): “Il giorno dopo la mia candidatura ho subìto un numero di attacchi bots che hanno prodotto l’oscuramento di ogni mia esistenza su Facebook (…) Comprendo il disagio di tutti coloro che si sono ritrovati in questa pagina e hanno perso invece l’amicizia nel profilo ma non è dipeso dalla mia volont à”. Ci mancava pure questa, che stress.